“C’era una volta il calcio in carrozzina a Salerno” (parte 4): l’intervista a Stefano Testa
Ultima intervista della nostra rubrica mensile riguardante il calcio in carrozzina a Salerno. Dulcis in fundo vi abbiamo riservato le dichiarazioni che il fisioterapista dott. Stefano Testa ha rilasciato ai nostri taccuini.
Cosa ha rappresentato per il calcio in carrozzina e quali insegnamenti ne hai tratto?
“Per noi è stato un momento di socializzazione davvero rilevante. I ragazzi che avevamo in cura non erano mai stati artefici di esperienze al di fuori del proprio contesto cittadino. La pratica di questo sport da parte dei ragazzi ha fatto sì che crescesse esponenzialmente la loro autostima, nonché la fiducia nei loro mezzi. Confrontarsi con altri atleti diversamente abili li ha spronati a dare il meglio e tutto ciò per me ha un valore inestimabile”.
Qual è il ricordo più bello che conservi di questa tua esperienza?
“Io fungevo da magazziniere, organizzatore e spingitore. Curavo ogni minimo particolare, ero colui a cui era demandato il compito di controllare che tutto il materiale sportivo non venisse smarrito. Personalmente ricordo con particolare emozione le sfide contro l’SPQR Bologna, compagine antesignana nella pratica del nostro sport. Con loro abbiamo sempre disputato sfide all’ultimo sangue, davvero molto tirate. L’aspetto che maggiormente mi preme rammentare, però, è quello riguardante il cosiddetto terzo tempo, effettuato alla stregua del rugby: dopo le partite, infatti, eravamo soliti andare a bere una birra tutti insieme e ragionare sul match appena concluso”.
Raccontaci la simbiosi che si creò con il diversamente abile con il quale giocavi in coppia
“Eravamo un tutt’uno io e Silvio Cammarota, paziente e compagno di avventura. Ci capivamo al volo sui movimenti da eseguire, si era davvero creato un bel feeling tra di noi. Ricordo un episodio particolarmente simpatico, riguardante proprio il diversamente abile con il quale giocavo. Noi avevamo in squadra Alberto Massa, soprannominato “il Maradona del calcio in carrozzina” (già intervistato nelle scorse settimane, ndr), il quale era solito non passare mai la palla a tu per tu col portiere: solo una volta accadde il contrario e Silvio ne trasse beneficio, segnando un gol importante nella fase finale dei campionati nazionali del 1993 contro una compagine di Caserta”.
Ti manca praticare questa attività?
“Molto. Io e Michele Lasala (il primo degli intervistati in questa rubrica, ndr) siamo stati coloro i quali si sono battuti principalmente affinché disabili facessero sport e vi fosse una certa visibilità per tutto il movimento: partecipammo, infatti, anche a diverse manifestazioni di nuoto e atletica leggera. Ricordo, inoltre, anche quando, grazie all’intercessione di tuo padre, radunammo diversi giornalisti presso la palestra Senatore per l’evento “Provaci anche tu”, nel quale i giornalisti sportivi divennero, per l’appunto, atleti prestati al calcio in carrozzina. Vi parteciparono i compianti Pietro Ferraioli e Zaccaria Tartarone, nonché Gigi Caliulo e Giovanni Vitale”.
Come mai il calcio in carrozzina non è più una prerogativa sportiva salernitana?
“Devo fare una piccola critica alla Federazione. Noi tutti ci impegnammo affinché questo sport, da loro definito sperimentale, fosse considerato allo stesso modo delle attività che, ad esempio, coinvolgono un cieco guidato da un normodotato, nel parallelo tra disabile e spingitore. A nulla valse la presentazione del materiale necessario ai fini della omologazione di questo sport. Ora è nato il Powerchair, avente gli stessi fini e regole più o meno simili, ma con una differenza sostanziale: la presenza di carrozzine guidabili elettronicamente”.