Silvano Scarnicci, eterna bandiera granata: il dolce ricordo della nipote Sara
“Nessuno muore finché vive nel cuore di chi resta”. Questa massima non vuole proporsi come sfoggio di mera retorica: nessuna frase, infatti, meglio si predispone a descrivere quanto tutti i familiari di Silvano Scarnicci, storico ex capitano della Salernitana recentemente venuto a mancare, vivano con grande commozione il suo ricordo, compresa la dolce nipote Sara che gentilmente si è concessa ai nostri microfoni per parlare del nonno.
Che effetto ti ha fatto vivere da nipote di una delle più grandi bandiere della Salernitana?
“Parto dal presupposto che a me non piace minimamente il calcio. Potrà apparirti un contro senso alla luce di ciò che ha fatto mio nonno in passato: avrei dovuto essere tifosa ed invece non lo sono. Mi ha sempre, però, fatto piacere il fatto che molti appassionati di calcio, quando mi conoscevano per la prima volta, ascoltando il mio cognome mi chiedessero se fossi la nipote di Silvano. Sono fiera di ciò, in quanto mio nonno era apprezzato dentro e fuori dal campo per la bella persona che era”.
Quali sono gli aneddoti più simpatici che ti ha raccontato tuo nonno riguardo la sua esperienza da calciatore della Salernitana?
“Aveva molte fans, diciamo così (risate, ndr). Spesso e volentieri si appostavano chiedendogli di scendere di casa. Poi mi ricordava sempre di quando rifiutò di accasarsi al Napoli: la sua decisione di rimanere alla Salernitana gli permise di entrare ancora di più nel cuore della tifoseria, creando con essa un legame indissolubile a tal punto che venne addirittura portato in trionfo quando preferì continuare ad indossare la casacca granata”.
Cosa ti diceva della storica promozione in B conseguita da capitano nel 1966?
“Ti confesso una cosa concernente l’ultima fase della sua vita. Mio nonno purtroppo era affetto dal morbo di Alzheimer. Come ben saprai, la malattia progressivamente cancella i ricordi più recenti mantenendo vividi solo quelli del passato. Un modo per stimolarlo era quello di richiamare nella sua mente i fasti di quegli anni. Ebbene, nonostante le sue condizioni di salute non fossero entusiasmanti, era ancora capace di ricordare a memoria uno degli undici base di quella Salernitana, a mo’ di filastrocca, così come accade per quelle squadre che riescono ad entrare davvero nel cuore dei tifosi: Piccoli, Rosati, Morosi, Alberti, Scarnicci, Dianti, Corbellini, Cominato, Prati, Sestili, Minto”.
Quanto era affezionato a Salerno ed alla Salernitana?
“Tantissimo. Mio nonno era originario di Roma, quartiere Garbatella. Ha sempre parlato di Salerno come una città fantastica negli anni Sessanta e Settanta. Poi ha sposato mia nonna, originaria di Salerno ed è rimasto volentieri in città, lavorando in banca e dilettandosi allenando squadre della zona. Finché ha mantenuto una certa lucidità, ha seguito sempre con particolare affetto le sorti delle sue due squadre del cuore: Salernitana e Roma”.
Cosa ti ha lasciato in eredità?
“Porterò sempre nel cuore il suo modo di vivere: teneva poca alla formalità, parlava ‘pane al pane, vino al vino’, risultando molto esplicito e sincero. Si faceva apprezzare per la sua generosità, non portava rancore verso nessuno e non ricordo che abbia mai parlato male di qualcuno. Quando si è ammalato, mi sono legata ulteriormente a lui. Era un uomo capace di affrontare la vita con una straordinaria forza d’animo. Ogni qualvolta mi lamentavo per qualcosa che non andava, era capace di risollevarmi il morale. E’ stato un punto di riferimento per la nostra famiglia ed il vuoto che ha lasciato sarà incolmabile. Vivrà sempre nei nostri cuori”.
Le foto inserite sono state fornite dalla famiglia Scarnicci