L’Italia delle mille tasse e delle furberie politiche, che darà il meglio di sé fino al prossimo 4 marzo, si riverbera in ogni aspetto della vita quotidiana, dal condominio ai massimi sistemi, tutto cristallizzato in quei codici e regolamenti che a partire dal diritto romano sono diventati, dopo la contaminazione bizantina, tomba della certezza giuridica nonché humus ideale per la proliferazione di cavilli e disparate interpretazioni delle norme.
E’ così purtroppo anche nei regolamenti sportivi, le cui antinomie sono in parte sotto gli occhi di tutti e in parte nascoste nelle stratificazioni ultradecennali di “politica dello sport”, massa abnorme dove si annidano alea e confusione ad iniziare dall’ambigua distinzione – tutta italica – tra giustizia sportiva e ordinaria; oppure al mai chiarito rapporto tra sport professionistico e dilettantistico; per finire alla competenza delle risorse economiche che la legge attribuisce a regioni ed enti locali mentre in realtà sono gestite dal CONI. Un comitato, quello olimpico, vero e proprio ente monstre paragonabile a nessun altro, poiché nel resto del mondo ha strutture snelle ma soprattutto non annovera di volta in volta i suoi presidenti come referenti di aree politiche o in qualità di veri e propri militanti di partito.
Anche la federazione tennis – che dal CONI dipende – fa concorrenza allo Stato italiano per quantità di cavilli e tasse (oltre 150) con le quali sistematicamente massacra i propri circoli affiliati, avendo reso esecutavo dal primo gennaio di quest’anno un nuovo bizantinismo nascosto da un piccolo e capzioso asterisco (*), diretta conseguenza di una vicenda nata alcuni anni or sono da un gruppo di ragazzi appassionati di racchetta e di computer.
Prima di proseguire diamo una veloce scorsa all’ultimo “Bilancio sociale” pubblicato per l’anno 2016 dalla FIT, dove si evidenzia che la categoria degli amatori è la più vasta in assoluto: in Italia hanno tessera “non agonistica” 225.808 persone, numero cui dobbiamo aggiungere quello di chi lo pratica esclusivamente con enti di promozione oltre a chi una tessera non la possiede affatto, più o meno 250 mila persone. Altri 100 mila hanno invece una tessera “agonistica”, che sommati ai precedenti portano al totale 350 mila persone gravitanti in area tennis non ostante l’ultradecennale mancanza di campioni della racchetta capaci di trainare il movimento, come accadde nell’ormai remoto 1976 con Adriano Panatta.
L’unico modo per avere una “classifica ufficiale” nel mondo degli agonisti è quello di possedere una tessera dal costo base di 30 euro, rilasciata da un circolo affiliato alla federazione. Con la tessera si partecipa a tornei individuali o a squadre ed è questo il sistema attraverso cui guadagnare punti ed avere un livello di gioco. Si tratta appunto solo di un livello e non di classifica perché non mette i giocatori e le giocatrici in fila, cioè non stila un ranking nel senso letterale del termine. Ad esempio, un giocatore/giocatrice con livello FIT pari a 3.4 sarà insieme ad altri cinquemila (?) di forza equivalente: chi di loro è più forte? La classifica FIT non è in grado di dirlo.
La maggior parte degli agonisti (80%) pagano e partecipano ai tornei federali per due motivi: 1) il piacere di giocare a tennis; 2) avere un livello di gioco. Poiché il primo punto è assiomatico, chi sottoscrive una tessera agonistica lo fa soltanto per avere una finta classifica, un livello di gioco, partecipando a tornei di esclusiva pertinenza FIT.
Negli ultimi quattro anni vi è stato più di un tentativo per cercare di spezzare questa sorta di monopolio, tenuto in piedi prevalentemente dal tennis amatoriale-agonista. I tentativi non sono andati a buon fine per un modus operandi federale poggiato sull’errato presupposto di detenere in via esclusiva la gestione di tutto il tennis italiano, e su questa falsa convinzione ha agito di conseguenza, il più delle volte ai limiti della legittimità e qualche volta oltrepassandola. Ma il provvidenziale intervento del CONI, l’ente-mostro cui si accennava all’inizio, ha stroncato i tentativi di restituire libertà al tennis in Italia convincendo (usiamo un eufemismo) i non allineati a sottoscrivere veri e propri accordi-capestro che – di fatto – hanno messo definitivamente nelle mani della federtennis il monopolio della racchetta.
Torniamo al gruppo di ragazzi.
Un giorno qualcuno di loro immagina un sistema di classifiche da dedicare esclusivamente al mondo amatoriale e ne parla agli amici. Da cosa nasce cosa e il brain storming che sicuramente ne è seguito conduce al banale ragionamento sui numeri accennati sopra, cioè che in Italia la percentuale di chi gioca per passione e soprattutto paga per farlo è la stragrande maggioranza. La nascita di TPRA avviene così quasi per gioco e pian piano si trasforma in un piccolo sogno nella mente dei protagonisti: diventare il sistema di classifiche di tutti i tennisti amatoriali.
Dopo aver testato il programma tra parenti, amici e qualche circolo nei dintorni, vanno a bussare alla porta della UISP: l’obiettivo è crescere nei numeri e a quell’epoca l’ente di promozione, in forte contrasto con la federtennis, ha le potenzialità per incunearsi nel monopolio creando un’alternativa al sistema di potere ultraventennale; un problema, quello dei feudi con baronie e vassalli, che colpisce molte altre federazioni italiane.
Al Convegno Nazionale UISP di Cesenatico fu dato ampio spazio agli ideatori quando, davanti ad una platea di oltre 200 tecnici, presentarono la piattaforma TPRA come partner ufficiale per sviluppare e diffondere il loro sistema di classifiche. Ma il fidanzamento ha avuto vita breve per ragioni qui lunghe da spiegare, e dopo poco tempo salta definitivamente l’accordo. A Binaghi devono essere brillati gli occhi per lo scampato pericolo: su un piatto d’argento gli veniva offerta la possibilità di “riprendersi” il tennis amatoriale evitando soprattutto un grave danno economico oltre che di immagine.
Avviate rapidamente le trattative, TPRA viene acquistata dalla FIT e la partnership ufficializzata il 20 gennaio 2015 sul sito federtennis.it.
Il motivo che ha spinto il gruppo fondatore TPRA a vendere alla federazione il proprio sogno è ancora da chiarire fino in fondo; i rapporti di forza tra pesci grandi e piccoli sono quasi sempre sbilanciati anche se in questi casi, oltre a quelli emotivi, giocano una parte importante gli aspetti caratteriali dei protagonisti. Dalla vicenda emergono però due fatti inequivocabili: il primo è che il gruppo fondatore si spacca definitivamente; il secondo, che la scelta FIT di acquistare la piattaforma TPRA è servita a ridurla ai mini termini; promoveatur ut amoveatur si dice negli ambienti burocratici, ti promuovo di rango ma ti tolgo ogni potere.
Non ostante infatti la homepage sempre accattivante, per quasi tre anni i tornei TPRA hanno preso piede in poche realtà, nessuno vuole giocarli perché percepiti dagli agonisti-amatori come una sorta di circuito inferiore, preferendo quindi i più “blasonati” tornei ufficiali.
Ma, se pur non significativa per un bilancio come quello federtennis, una discreta somma era stata spesa per liquidare la quota parte uscita dal gruppo fondatore TPRA, ragion per cui dopo tre anni di sostanziale vuoto tecnico della piattaforma i federali hanno avuto l’ordine imperativo: mettersi all’opera per trovare il cavillo e obbligare tutti i 3247circoli affiliati all’utilizzo di TPRA. Come fare?
Arriviamo così al bizantinismo, al sogno che si trasforma in incubo.
Viene partorita un’idea tanto semplice quanto perversa: raddoppiare le tasse a tutti i circoli affiliati per l’approvazione dei tornei ma “concedere” lo sconto del 50% ai quei circoli che faranno almeno un torneo TPRA.
Dal 1° gennaio 2018, infatti, raddoppiano le tasse di approvazione per i tornei numericamente più significativi, come quelli open o di categoria con montepremi inferiore a 500 euro, da 500 a 1500 euro e quelli con montepremi superiore a 1500 euro. In pratica raddoppiano le tasse per tutti i tornei. Il cavilloso bizantinismo viene però nascosto da un piccolo asterisco vicino a queste voci, e scorrendole verso il basso si svela l’arcano: “*La tassa è ridotta del 50% per gli Affiliati che organizzano nel 2018 uno o più tornei FIT/TPRA con almeno 16 iscritti totali“.
I circoli saranno dunque obbligati a fare almeno una tappa TPRA, circuito con set limitati a 10 game e costi di poco inferiori ai tornei ufficiali, per non vedersi raddoppiare le tasse di approvazione.
Il maligno escamotage vuole raggiungere anche un altro obiettivo: entrando di prepotenza nei i circoli affiliati, fagocitare tutti gli amatori dentro al “sistema” eliminando definitivamente lo spartiacque tra attività federale e attività sociale.
“Ricatto, pizzo, coercizione, superato ogni limite, politica autodistruttiva, imposizione di prodotto, non è promozione del tennis, solo business in danno dello sport, stanno toccando il fondo, scegliere e non imporre“: queste alcune reazioni della base raccolte sui social dopo la diffusione della notizia, già scontenta e vessata da una federazione che non smette di imporre scelte impopolari ma che, d’altro canto, le sono consentite dalla gestione monopolistica avallata dal CONI.
Qualcuno sottolinea che non si è obbligati a stare dentro al sistema FIT, che i circoli sono liberi di affiliarsi o meno: questo è vero. Ma a ben vedere le convenzioni sottoscritte dagli enti di promozione, come ad esempio l’art.2.1 Convenzione FIT-UISP del 16/03/2016, pg.4, si scoprono amare verità. Come quella che impedisce di giocare con il punteggio del tennis obbligando al tiebreak nel terzo set o il killer point in ogni game; oppure i ragazzi, anche con doppia tessera, non possono partecipare ai campionati a squadre a meno che il circolo non abbia una scuola riconosciuta dalla FIT. Neanche la terminologia viene risparmiata dalla scure federale poiché è vietato l’utilizzo dei termini “campionati italiani”, “campione italiano”, “squadra italiana” che restano di esclusiva pertinenza FIT.
Ma soprattutto l’aspetto più subdolo: “le parti concordano che l’UISP organizza sul territorio italiano tornei destinati soltanto ai propri tesserati che non siano classificati o tesserati FIT; tornei amatoriali, individuali e a squadre riservati anche a tesserati FIT che non siano mai stati classificati dalla FIT“.
Quest’ultimo cavillo, con l’ingresso a gamba tesa del TPRA in ogni circolo (qualcuno di voi vuole pagare il doppio delle tasse?) punta ad eliminare completamente i giocatori mai classificati, togliendo di fatto – e definitivamente aggiungo – la possibilità agli enti di promozione di fare attività tennistica.
Il sonno della ragione genera mostri ed ha trasformato il sogno in un incubo.