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ELISA FERRARI: “8 MARZO PER DIRE BASTA ALLA DISCRIMINAZIONE DEI SESSI NELLO SPORT”

Sudore, allenamenti, contrasti, goal, vittorie e sconfitte. È solo questo lo sport? No, lo sport è molto di più, per il valore etico che promuove, messaggio di uguaglianza e di unione. Perché lo sport lo possono fare tutti, senza distinzione di sesso, razza o età.
Cosi dovrebbe essere, ma purtroppo, non sempre, nella realtà, si riesce a raggiugere tale scopo. Lo sport, soprattutto quello a livello professionistico è sempre stato oggetto di discriminazioni nel nostro paese, in particolare tra il mondo dello sport maschile e quello femminile. Quante volte sentiamo dire che ci sono sport “maschili” e sport “femminili”? Su cosa viene fatta questa discriminazione? Sui preconcetti e sui retaggi dei luoghi comuni legati alla nostra storia nazionale che vedevano la donna come debole e socialmente soggiogata alla figura maschile, il cui ruolo era quello di “mater familias” a cui erano precluse determinate attività.
Nonostante siano passati secoli dalla morte di questa figura e nonostante la nostra società sia protagonista dell’era della rivoluzione tecnologica e della globalizzazione, ancora permangono i lasciti di queste ideologie che portano a classificare gli sport praticati dalle donne come “minori”.
L’aspetto che deve far riflettere però, è che questa disparità non si evidenzia solamente nelle burle dei ragazzini del campetto di quartiere, ma è espressa anche dai massimi vertici dello sport nazionale: ancora riecheggiano nella memoria comune le parole dell’ex presidente della Figc Carlo Tavecchio che etichetta il calcio femminile come quello praticato “da quelle quattro lesbiche”.
Se le varie etichette discriminatorie possono ferire l’etica e la sensibilità delle atlete, ci sono altri aspetti legati alla disparità di trattamento tra lo sport maschile e femminile dai risvolti decisamente più pragmatici: due su tutti, la retribuzione e i diritti delle atlete.
Proprio a causa degli aspetti sopracitati, in Italia generalmente le atlete donne sono retribuite in maniera minore degli omologhi atleti uomini. Le atlete inoltre non hanno nessuna garanzia nel momento in cui si trovano ad affrontare una gravidanza, poiché spesso si ritrovano abbandonate dalla propria società d’appartenenza, in quanto non più in grado di portare a termine i loro impegni sportivi.
Nonostante questi siano solo alcuni degli aspetti legati alla disparità di trattamento nel mondo dello sport, sono sufficienti per giungere alla conclusione che in Italia la maggior parte degli sport femminili non può essere considerato come professionistico. Le ragazze che vogliono proseguire con la carriera sportiva dopo le categorie giovanili infatti si trovano obbligate a svolgere un’altra attività lavorativa parallela, facendo sacrifici enormi per mandare avanti entrambe le occupazioni, ma solo cosi possono pensare di avere qualche certezza professionale ed economica una volta chiusa la parentesi agonistica.

 

Elisa Ferrari, festa delle donne 2018

alfonso.pierro@libero.it

“A volte un vincitore è semplicemente un sognatore che non ha mai mollato” 
(Nelson Mandela).