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GOMEZ (JOMI): “LA MIA FUGA DA CUBA POTEVA DIVENTARE UN INCUBO. PER FORTUNA HO TROVATO PERSONE DI CUORE SULLA MIA STRADA”

“A pochi mesi dalla mia fuga e dopo aver sottoscritto un contratto per giocare a pallamano mi accorgo di aspettare un figlio. Immaginate la paura! Non era il momento opportuno per poter dare questa notizia. Immaginate se non mi avessero continuato a pagare lo stipendio, come avrei potuto vivere?”
E’ Suleikj Gomez a raccontare la sua storia cominciando, però, dalla sua infanzia: “Gioco a pallamano per puro caso. Io facevo basket e pallavolo poi un giorno mi reclutarono per una esibizione di paese. Giocai bene e un allenatore mi disse che sarei potuta arrivare in Nazionale”. Il tecnico ci aveva visto lungo tanto che a solo 16 anni “mi ritrovo a giocare con la Nazionale di Cuba e dove divento, presto, anche il capitano”.
Ma aveva un sogno nel cassetto: “volevo giocare in Europa, non importava dove. Volevo giocarmi questa opportunità”. A Cuba non era permesso poter sottoscrivere contratti agli atleti fuori dalla propria Patria ed allora la Gomez pensa di scappare come avevano fatto in tanti: “Avevo maturato questa convinzione, volevo andare via. Mio padre mi disse che non aveva mai forzato la mia volontà, dovevo maturare io la convinzione di andare via dalla mia casa e dalla mia terra. Dovevo essere convinta. Ma, sai, ironia della sorte, pochi anni dopo a Cuba cambiarono le regole permettendo agli atleti di sottoscrivere contratti con società professionistiche straniere”.
Ma ormai il dado era tratto, non si poteva tornare indietro.
Allora ripercorriamo quei due anni in Brasile: “Ero in Nazionale e fuggi dal ritiro della squadra. Mi hanno aiutato alcuni cubani che giocavano in Brasile e pochi mesi dopo avevo già un contratto con una squadra locale”.
Tutto sembrava essere andato nel verso giusto, invece ad un certo punto chiamò in disparte l’allenatore e gli chiese di parlargli: “Non sapevo come dirglielo. Ero incinta! Alla fine trovai il coraggio e sperai solo che non mi lasciassero senza lavoro. Ho giocato fino a 4 mesi di gravidanza, fino a quando sono riuscita. Devo dire che l’allenatore mi diceva di fermarmi, ma io ho giocato fino a quando ho potuto”.
Nata la figlioletta, Suleikj, si trovava sola e lontana da casa “vicino casa mia vivevano delle compagne di squadra, erano le uniche persone alle quali potevo rivolgermi se avessi avuto delle difficoltà”.
Resta in Brasile anche un secondo anno: “Non mi sentivo di lasciare quelle persone, mi erano state vicine, non mi avevano fatto mancare lo stipendio, ma devo dire che i primi mesi di allenamento e partite non sono stati di certo facile. Andavo in trasferta con mia figlia piccola, viaggiavamo insieme e, durante gli allenamenti, capitava spesso che dovevo fermarmi per curare la bambina. A volte capitava che giravo intorno al palazzetto con la carrozzina correndo, anche quello era un modo per continuarsi ad allenare. Devo dire che essere mamma ed atleta non è stato facile, soprattutto quando non hai nessun aiuto”.
Poi arriva in Italia grazie ad un procuratore. La squadra è quella di Nuoro: “mi disse che non avrei lottato per il campionato, ma era un modo per cominciarmi a farmi conoscere. Restai anche il secondo anno, poi arriva la richiesta di Salerno ed eccomi quà”.
Il suo futuro: “Giocherò a pallamano fino a quando Salerno mi vorrà tenere in squadra, non credo di andare via da quì. Poi tra qualche anno potrò rientrare in Patria e ci andrò per trascorrere le vacanze e salutare qualche amico, ma penso che la mia vita la trascorrerò in Italia”.

alfonso.pierro@libero.it

“A volte un vincitore è semplicemente un sognatore che non ha mai mollato” 
(Nelson Mandela).