Massimiliano Osman: “Sport mezzo per la crescita, non per la gloria”
“Il fenomeno dell’abbandono giovanile è in netto aumento negli ultimi anni. Le colpe sono identificabili ad ampio spettro, ma influisce notevolmente lo status di questa società del tutto e subito. L’incidente di percorso, così come l’infortunio, non sono più considerati come parte di un processo di crescita di un ragazzo o di un bambino”. Massimiliano Osman, protagonista di un post a riguardo, ha così introdotto ai nostri microfoni il suo approfondimento sulla questione.
Il problema, secondo il tecnico, parte proprio dalle abitudini di tutti i giorni: “Nessun addetto ai lavori può promettere a un ragazzino il sicuro avvenire tra i professionisti. Il suo compito è solo consentirgli di esprimere al massimo le sue capacità senza cancellare i suoi sogni, ma nel frattempo non deve illuderlo offrendo lui una visione distorta della realtà. Attualmente in Italia abbiamo un gap consistente dal punto di vista sportivo con le altre realtà; per esempio riporto un dato statistico secondo il quale un ragazzo 18enne italiano ha una preparazione fisica pari a quella di un ragazzo straniero di tre anni in meno”.
Su tale dato, nel calcio, ha influito anche l’approdo totale di un nuovo sistema democratico: “Il ragazzino, che dapprima giocava per strada, subiva un processo di autoselezione strettamente legato agli atleti stessi. Oggi tale situazione si presenta con modalità differenti, perché gli atleti si iscrivono alle scuole calcio. L’ambiente in questione, non deve essere ostile e deve permettere una crescita serena”.
In questa situazione, emerge sempre di più un ruolo determinante degli istruttori: “Alcuni tecnici non sono purtroppo ancora mentalizzati a sufficienza. Nella nuova generazione ho visto maggior interesse nella comunicazione, con modi meno prescrittivi e più induttivi volti a far innescare ai ragazzi processi mentali per far vivere in maniera più serena lo sport. Quando non avviene una vittoria, è compito dell’istruttore cercare di innescare nell’atleta un processo di crescita volto a colmare le lacune che non hanno permesso il successo. Solo così, il ragazzino che a 18 anni vuole abbandonare la pratica sportiva, avrà dentro di lui quella riconoscenza verso lo sport che gli permetterà di voltare pagina e di rimettersi nuovamente in discussione in un contesto differente. Le società devono comunicare anche con i genitori, per aiutarli a stare accanto ai propri figli scegliendo con intelligenza il processo di crescita più appropriato a ogni singolo atleta”.