Bruno Neri: calciatore tra fascismo e resistenza
Gli stadi, nel periodo fascista, divennero veri e propri “teatri di massa” dove, attraverso gesti simbolici, come l’imposizione dell’obbligo del saluto romano prima dell’inizio delle partite, si faceva vera e propria propaganda fascista.
Bruno Neri, il protagonista della nostra storia, si trasferisce da Faenza alla Fiorentina per diecimila lire dove rimase fino alla stagione 1935/36.
Fu l’unico che durante un’amichevole, per l’inaugurazione dello stadio di Firenze (oggi Franchi), non salutò romanamente il pubblico presente (vedi foto di copertina).
In maglia viola le sue doti da mediano furono apprezzate da Vittorio Pozzo che lo fece esordire in Nazionale il 25 ottobre del 1935, in uno scontro con la Svizzera e vinto dagli azzurri per 4-2. Dopo la Fiorentina vestì, per una sola stagione, la casacca rossonera della Lucchese per poi passare al Torino dove giocò fino al 1940 per far ritorno, poi, al suo Faenza.
Con l’arrivo della guerra e della lotta partigiana, e grazie al cugino Virgilio Neri, aderì all’«Organizzazione Resistenza Italiana» (ORI). Lui fu inserito nel Battaglione «Ravenna» che doveva agire nella zona compresa tra il campo d’azione del gruppo comandato dal leggendario, anch’egli a suo tempo calciatore del Faenza, Silvio Corbari e la trentaseiesima Brigata «Bianconcini». Il 10 luglio 1944, all’Eremo di Gamogna in prossimità di Marradi, Neri, il partigiano-calciatore, perderà eroicamente la vita. Nel 1946 il consiglio comunale di Faenza gli intitolò lo stadio. Così recita la lapide, dedicatagli nel 1955 dalla sua città natale, Faenza:
“Bruno Neri comandante partigiano caduto in combattimento a Gamogna il 10 luglio 1944, dopo aver primeggiato come atleta nelle sportive competizioni rivelò nell’azione clandestina prima, nella guerra guerreggiata poi, magnifiche virtù di combattente e di grande esempio e monito per le future generazioni”.
Foto: Novecento.org