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“Il calcio dietro le quinte” (parte 2): l’intervista a Matteo Amaturo, “l’avvocattore” granata

Seconda puntata della nuova rubrica proposta dalla nostra testata. Questa settimana abbiamo intervistato Matteo Amaturo, ex speaker ufficiale della Salernitana, apprezzato attore teatrale e figlio del giornalista Gigi.

Raccontaci come diventasti la voce ufficiale della Salernitana

“Quell’anno l’addetto stampa era Cinzia Ugatti, grande amica e persona con la quale condivido anche la passione del teatro. La società aveva bisogno di un nuovo speaker e Cinzia mi propose all’attenzione dell’allora presidente Lombardi. L’accordo prevedeva che sarei andato via allorquando si sarebbe conclusa anche il rapporto di lavoro tra l’addetto stampa e la Salernitana. Invece la società si affezionò alla mia voce e mi volle anche per i campionati successivi. L’ambiente salernitano mi riconosceva in virtù del cognome grazie al quale venivo immediatamente associato a mio padre. E’ stata un’esperienza entusiasmante e gratificante. Ti svelo un aneddoto: mi venne proposto anche di essere lo speaker della Cavese, più o meno nello stesso periodo durante il quale la Salernitana mi offrì il medesimo incarico. Naturalmente rifiutai per una forma di attaccamento alla maglia. Poi i miei sempre più incalzanti impegni teatrali fecero sì che abdicassi in favore di Luca Scafuri: sapevo che non mi avrebbe deluso e sta facendo un ottimo lavoro”.

Quali sono state le emozioni più forti che hai provato durante questa esperienza?

“Da un punto di vista meramente sportivo, non posso non citare la promozione conseguita nel torneo 2007-08. Per quanto concerne l’aspetto che esula da ciò che avviene sul rettangolo verde, mi fa piacere ricordare il legame di amicizia con diversi componenti di quella rosa. Tra tutti, Arturo Di Napoli ha rappresentato e rappresenta tuttora un punto di riferimento importante. C’è da premettere che, alla luce della mia simpatia per l’Inter, ha avuto per lui sempre un occhio di riguardo, essendo cresciuto nelle giovanili del club nerazzurro. Tralasciando questo aspetto, Arturo mi ha aiutato parecchio nel momento in cui mia moglie stava poco bene, divenendo il primo ‘fidanzato’ della mia figliola, innamorata pazza di lui”.

Ricordi quando hai seguito la prima partita dal vivo della Salernitana?

“Assolutamente sì. Fu un Salernitana – Modena 3-2 del campionato 1966-67. Ricordo che negli ospiti giocava un centravanti di nome Jorge Toro, sceso in campo con una fascia elastica sul quadricipite e capace di segnare due reti”.

A quali calciatori e allenatori sei rimasto particolarmente affezionato?

“Da tifoso della Salernitana, sono rimasto particolarmente legato a Walter Zenga, in quanto giocavamo insieme nelle giovanili granata. Tuttora mi capita di sentirlo saltuariamente. Sono, inoltre, molto amico di Gabriele Messina e Vanni Moscon. Poi la persona che mi ha accompagnato nello sviluppo della mia breve carriera calcistica è stato Favaro: lo vedevo un po’ come un idolo quando venne dal Genoa, ormai in là con gli anni. Il calcio di oggi è diametralmente opposto rispetto a quello di qualche anno fa: non fai in tempo ad affezionarti a qualche calciatore che subito quest’ultimo cambia casacca. Per quanto concerne gli allenatori, ricordo quando Zeman mi incontrò nel ventre dello stadio Arechi e rimase molto meravigliato, avendomi avuto alle sue dipendenze da giocatore”.

Hai più volte fatto riferimento alla tua carriera da portiere: la ripercorriamo, soprattutto a beneficio di coloro i quali non ne sono a conoscenza?

“Ho giocato nelle giovanili della Salernitana, poi ho avuto esperienze nell’allora quarta serie con Potenza e Licata. Successivamente ritornai alla base e ricordo che ero in procinto di trasferirmi al Rimini: la trattativa non si concretizzò per un peccato di gioventù, del quale ti parlo, essendo ormai caduto in prescrizione. Partecipai al torneo di Santa Teresa e mi ruppi il ginocchio: naturalmente mascherai il tutto con la società, dicendo di essere caduto dal motorino. Quell’evento mi scosse a tal punto che decisi di non giocare più a calcio, pur essendo ancora molto giovane. Dopo qualche anno, l’amico Luciano Pierro, purtroppo non più fra noi, mi volle di nuovo in campo. Decisi, pertanto, di sposare un’avventura in ambito dilettantistico, che si è protratta fino ai 38 anni”.

Cosa ha significato per te lavorare per la Salernitana da figlio d’arte, essendo stato tuo padre uno dei giornalisti maggiormente importanti che hanno seguito le sorti della squadra negli anni passati?

“Mio padre era un salernitano purosangue. Sappiamo bene che, al di là di là di figure marginali o rare eccezioni tipo Fusco e pochi altri, il salernitano non è mai stato profeta in patria. Siamo amanti in generale dei forestieri, le grandi bandiere salernitane nella Salernitana risalgono agli anni Trenta e Quaranta. Per me è stata una grande emozione essere membro della squadra della mia città, in più vesti. Sapevo che mio padre era felice dell’incarico da me ricoperto recentemente. Ricordo ancora con particolare emozione quando, ai funerali di mio padre, la Salernitana omaggiò il sottoscritto e la mia famiglia con una folta rappresentanza. Parlando ancora di mio padre, mi ricollego alla domanda precedente per svelarti un altro aneddoto. Il mio papà è stato anche direttore sportivo del Sorrento, squadra che sotto la sua guida dirigenziale e con Bolchi allenatore centrò la promozione in B. Ricordo un episodio particolare: un giorno lo accompagnai a vedere una partitella di allenamento tra la prima squadra e una formazione giovanile del Sorrento. Bolchi, con il quale mi sento tuttora, volle vedermi in porta per qualche minuto, nonostante fossi giovanissimo. Mi disimpegnai bene e disse a mio padre che avevo della stoffa. Mio padre non volle, però, mai che io fossi eventualmente aiutato dalla sua figura per emergere nel mondo del calcio  e non se ne fece nulla. Lo stesso si verificò con Viviani alla Salernitana. A distanza di parecchi anni, poco prima di morire, il mio papà mi chiese scusa per avermi ‘tarpato’ le ali da ragazzo”.

Cosa pensi della nuova proprietà in casa granata?

“Il cugino di mia moglie ha sposato la moglie dell’avvocato Longo, che fece da traghettatore alla Lazio durante il passaggio dalla presidenza Cragnotti alla presidenza Lotito. Quando Lotito divenne il nuovo comproprietario della Salernitana, lo chiamai per chiedergli delucidazioni sul personaggio e mi disse che la Salernitana sarebbe stata la società più pulita del campionato, contraddistinta da un bilancio in pareggio o in attivo. I fatti gli stanno dando ragione e personalmente ritengo che vorrei un altro presidente solo se si presentasse la possibilità di avere un imprenditore ancora superiore”.

Parlaci, in conclusione, dei tuoi impegni teatrali

“Con piacere. Stiamo riportando in auge “Il mistero di Veronica” (regia di Andrea Carraro; attori Cinzia Ugatti, Andrea Bloise ed Elena Monaco), pronto ad una produzione su scala nazionale. Siamo in procinto, inoltre, di debuttare con “Stella” di Goethe, opera nella quale dovrò interpretare la figura di un ufficiale tedesco. In virtù del fatto che sono anche avvocato, sono simpaticamente stato soprannominato “l’avvocattore”. Confesso che, ogni qualvolta gioca la Salernitana e sono in scena, verifico subito sul cellulare il risultato della mia squadra del cuore. Il teatro è costituito al 90% da persone apparentemente spigliate, ma in realtà timide. E’ insita una forma di introversione nella stragrande maggioranza delle persone che fanno teatro, le quali, però, attraverso il palcoscenico, riescono a superare le loro paure. Se oggi sono la persona che sono, lo devo alla mia professione”.

Fonte foto Facebook

corradobarbarisi@hotmail.it

Ingegnere elettronico di primo livello. Giornalista pubblicista dal 26 novembre 2015