“Che razza di calcio” il libro di Lamberto Gherpelli
“Che razza di calcio” è un libro scritto da Lamberto Gherpelli ed edito dal GruppoAbele edizioni che racconta il calcio e le sue sfaccettature razziste. L’autore però, dopo aver raccontato dalla genesi tutti gli episodi di razzismo lascia, alla fine, un messaggio di speranza raccontando diversi episodi che riconciliano il calcio con un mondo civile e integrato.
La prefazione è a cura dell’Associazione Italiana Calciatori.
Che il calcio nasca in Inghilterra (Freemasons’ Tavern di Queen street in Londra il 26 ottobre del 1863) era cosa risaputa ma, che in origine fosse uno sport solo per bianchi, non era una certezza. Le prime integrazioni, difficili, sono ben raccontate e sviluppate dall’autore. La prima parte del libro contiene una serie di storie ed episodi che ti lasciano incollati al testo come capita nei migliori romanzi.
Ad esempio il racconto della sconfitta del Mondiale del 1950 da parte del Brasile per merito del capitano “el negro jefe” Obdulio Varela (clicca per leggere la storia) è davvero emozionante.
Pian piano si procede alla lettura però, le storie, entrano nella crudeltà, nella maleducazione e nella realtà dei fatti raccontati, con novizia di dettagli. Nessuna Nazione, dove il calcio è lo sport più seguito, è esente da episodi incresciosi.
Però calciatori come Pelè hanno fermato Nazioni intere e i pregiudizi pregressi per ammirarlo: “Al di là dello straordinario carisma del fuoriclasse brasiliano, il calcio ha sempre – in evidente contraddizione col razzismo che pur lo attraversa – la capacità di unire, di esaltare in popolo, di coinvolgere ampi e diversificati gruppi sociali, di muovere passioni, sentimenti e di combattere il razzismo”. (pag. 59)
Insomma, tanti racconti, tante storie e tanta ricerca. Per concludere evidenziamo altri due passaggi, significativi, che danno il senso di profonda attenzione, da parte dell’autore, al tema trattato: “E’ inutile dialogare con i tifosi per farli smettere, sanno che è una cosa sbagliata però insisteranno sempre…” (George Weah, aprile 1996, pag. 101) e, per restare alle problematiche italiane: “Dal doping al razzismo: siamo il Paese al mondo che più ne parla, con il record assoluto di tavole rotonde. Ma quando si tratta di tradurre la teoria in pratica, e le proposte di leggi, non uno che faccia un passo avanti. Al massimo ci si dissocia, si stigmatizza, ci si appella alla coscienza (degli altri naturalmente). […] Sospendere le partite è un segno di fermezza. Dietro gli striscioni razzisti c’è il vuoto della ragione e del cuore”. (pag. 116 e 117)