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Coppa Davis 2019: il tennis sacrificato alla Tv

A 118 anni dalla sua prima edizione del 1900 disputata tra due sole squadre, USA vs GB, il 16 agosto scorso 144 rappresentative tennistiche delle rispettive nazioni di appartenenza sono state convocate ad Orlando, in Florida, per votare la riforma “epocale” della Coppa Davis fortemente voluta da Kosmos, un gruppo di investimenti fondato e presieduto dal calciatore (!) spagnolo Gerard Piqué, ex difensore del Barcellona e della nazionale iberica.
L’accordo prevedeva, oltre alle modifiche del regolamento, obiettivi da centrare a scadenze annuali in termini di audience tv, presenza di pubblico e di top players che, qualora non dovessero essere raggiunti due volte di fila, l’ITF ha facoltà di rescindere.
L’accusa principale alla “vecchia Davis” era che fosse boicottata dai grandi campioni perché poco conveniente in termini di classifica e di guadagni, poiché la formula complessa e spalmata nell’arco dei 12 mesi interferiva con l’agenda dei giocatori, proiettata a guadagnare punti e denaro.
Andiamo con ordine.
Il torneo venne ideato nel 1900 da quattro membri della squadra di tennis dell’Università di Harvard che pensarono di sfidare i britannici in una competizione di tennis secondo la formula ideata da uno dei quattro americani, Dwight F. Davis, che diede il nome alla competizione solo dopo la sua morte e fino a quel momento conosciuta come International Lawn Tennis Challenge.
Dalla sua nascita, come detto avvenuta nel 1900, gli U.S.A. sono la nazione che ha vinto più volte (32), seguita da Australia (28), Regno Unito (10), Francia (9), Svezia (7) e Australasia (5) (Australia + Nuova Zelanda). Dal 1950 al 1967 l’Australia ha dominato la Coppa Davis vincendola ben 15 volte in 18 anni.
Fino al 1973, dunque per 73 anni consecutivi, la Coppa Davis è stata vinta soltanto da quattro nazioni: U.S.A., Regno Unito, Francia e Australia/Australasia; un predomino spezzato nel 1974 quando Sudafrica e India si qualificarono per la finale ma l’India rifiutò di disputarla per protestare contro la politica di apartheid del governo sudafricano, consegnando la vittoria agli avversari. L’Italia l’ha vinta una sola volta nel 1976 contro il Cile, anche in questo caso in una edizione segnata dal boicottaggio, ma della semifinale, da parte dell’Unione Sovietica che rifiutò di incontrare il Cile in segno di protesta contro il regime di Pinochet, e che per tale boicottaggio fu sospesa due anni dalla Davis.
Pur avendola vinta una sola volta in 118 anni l’Italia in compenso vanta Nicola Pietrangeli come il giocatore che al mondo ha vinto più incontri di Coppa Davis: senza dubbio una magra consolazione.
Dunque il 16 agosto scorso, con la votazione a maggioranza del nuovo “format, la più antica competizione tennistica a squadre ha subito un vero e proprio rimaneggiamento in nome dello spettacolo e del relativo business”: due set su tre con tiebreak al posto dei tre set su cinque; una fase di qualificazione a 24 squadre nel mese di febbraio e la finalissima a novembre in una località europea, con 12 squadre qualificate + 4 semifinaliste della precedente edizione + 2 wild card; le 18 finaliste a loro volta divise in 6 gironi all’italiana da 3 che producono 6 vincitrici di girone + le 2 migliori seconde classificate in base a numero di set e game disputati, 8 squadre per formare un tabellone ad eliminazione diretta a partire dai QF (Quarti di Finale). Tutte le perdenti ricominciano invece dal cosiddetto Gruppo di Zona.
Ogni singola federazione che ha partecipato alla votazione di Orlando ha usufruito del voto segreto, 12 voti a disposizione per Francia, GB, Australia, USA e Germania; 9 voti a disposizione per Italia, Argentina, Brasile, Canada, Cina, Repubblica Ceca, India, Giappone, Olanda, Russia Sudafrica, Spagna, Svezia e Svizzera.
Molte federazioni, pur usufruendo del voto segreto, hanno pubblicamente dichiarato la propria posizione di merito, come i pesanti NO di Australia, GB e Germania oppure il “clamoroso” SI di Francia (clamoroso perché opposto ai desiderata di staff tecnico e top player) e Stati Uniti: la federazione italiana tennis, invece, pur rilasciando una dichiarazione ufficiale sulla riforma, ha beatamente ignorato di pubblicare il proprio voto.
Rumors insistenti gridano al “voto di scambio” (virgolettato): dei 5 voti del Belgio in cambio di una wild card, dei 3 del Portogallo per ospitare l’assemblea nazionale ITF nel 2019, dei 12 della Francia per l’organizzazione della prima finalissima 2019 a Lille e dei 9 italiani in cambio dei diritti televisivi per il canale Supertennis. Ventinove voti “decisivi” che avrebbero determinato il raggiungimento del quorum, che altrimenti barcollava.
Ricordiamo che Supertennis, canale interamente dedicato e gestito da Sportcast, di cui la FIT è proprietaria al 100%, nel 2017 ha avuto costi per 9 milioni 962.569 mila euro, 2 milioni 084.636 mila euro di ricavi pubblicitari, con una perdita secca del 73% interamente coperta da un generoso assegno FIT di 7 milioni 282.163 mila euro.
Il miracolo del tennis in Tv continua, perché forse in Italia mancano giocatori top player, ma sul divano non ci batte nessuno.

adrianopignataro@libero.it