Dino Fava, il provino per l’Inter e quella proposta indecente: “Ecco come riformerei il calcio italiano”
Tariffario per giocare in C? Dino Fava (nelle foto di copertina con la maglia del Treviso mentre duella con Nesta, ndr) non si meraviglia e racconta una sua esperienza personale, allargando il discorso su questo tema controverso e spinoso, già trattato approfonditamente in precedenti interviste, nonché cavallo di battaglia di Damiano Tommasi nella corsa alla presidenza FIGC.
Cosa ti capitò in un provino di tanti anni fa?
“È un episodio che ricordo paradossalmente con una risata, per tutte le vicissitudini che vi furono e il suo esito conclusivo. Giocavo per una scuola calcio di Sessa Aurunca: la società in cui militavo amava particolarmente i propri affiliati e, non appena qualcuno di loro lasciava intravedere buone doti tecniche, non esitava ad organizzarsi per qualche provino. Un giorno mi recai a Roma per sostenere un provino per l’Inter. Viaggiammo su un pullmino malandato e, infatti, impiegammo tre ore per compiere un tragitto per il quale avremmo dovuto viaggiare almeno un’ora in meno. Giocai splendidamente, realizzando due reti e meritandomi il post partita con tiri verso la porta, pratica ad hoc tuttora in voga per quei calciatori che durante i provini riescono ad emergere rispetto agli altri. Mi avvicinò un osservatore dell’Inter e chiese i recapiti telefonici della mia famiglia per formalizzare il mio trasferimento alla società nerazzurra. Non ricordo il nome di quell’intermediario, ma so soltanto che mi diede una notizia fantastica. Mia madre organizzò una cena sontuosa per il giorno in cui l’osservatore venne a casa per ultimare la trattativa con mio padre. Quando tutto sembrava formalizzato, la clamorosa richiesta: ‘Signor Fava, per ultimare la trattativa, necessiterei di un pagamento pari a 10 milioni come compenso per il trasferimento del ragazzo a Milano’. Mio padre rimase sbigottito e, nonostante avesse anche avuto la possibilità di poter eventualmente accettare la proposta indecente pur di farmi coronare il sogno di giocare per una delle società più gloriose del calcio italiano, lo cacciò di casa in malo modo, facendolo scendere le scale velocissimamente. Rimasi malissimo, mi era caduto il mondo addosso: pensavo che nel calcio fosse necessario scendere a compromessi per emergere. Per fortuna, una brava persona, affiliata col Napoli, mi fece visionare dalla società partenopea e, dopo essere entrato nel settore giovanile degli azzurri, riuscii a spiccare il volo. Ricordo ancora che mio padre regalò a quell’uomo per sdebitarsi una damigiana da cinque litri di vino prodotto in casa”.
È davvero così dilagante nelle serie minori il fenomeno dei calciatori costretti a pagare per giocare?
“Ho potuto constatare in prima persona che il ritorno economico è molto basso per le società man mano che si scende di livello. C’è da premettere che il livello tecnico del calcio di oggi non è lontanamente paragonabile a quello di qualche anno fa: basta vedere già la parte destra della classifica di serie A per appurare le differenze col passato, figuriamoci nelle serie minori. Il calcio è lo specchio del momento socio-economico del Paese. Purtroppo diverse società sono in difficoltà e perciò questo fenomeno sta prendendo particolarmente piede: determinate società preferiscono far giocare calciatori non all’altezza, piuttosto di fallire. Trovo che tutto ciò sia sbagliato, ma ritengo che il dislivello tra il calcio che conta e le serie minori stia aumentando anche alla luce dei contratti faraonici e delle cifre assurde che girano oggigiorno ad alti livelli”.
Damiano Tommasi ha solo tre anni in più di te e aspira a diventare nuovo presidente della FIGC. Come cambieresti il calcio italiano?
“Alzerei la cifra del contratto minimo. Ti assicuro che la maggior parte delle società fa firmare questa tipologia di accordo, senza rispettarlo fino in fondo. Per un ragazzo che non ha la fortuna di andare a giocare in B o in A, è dura reinventarsi dopo la chiusura dell’attività agonistica, in quanto i tempi di attesa per percepire la pensione sono discretamente lunghi. L’aumento dei compensi a livelli più bassi permetterebbe a tanti atleti di riuscire a mettersi da parte un gruzzoletto di soldi. Nelle scuole calcio, farei lavorare soltanto persone qualificate e non istruttori improvvisati. Amo il calcio e vivo i campi d’allenamento quotidianamente: riscontro molta incompetenza. Ognuno deve fare il proprio mestiere. Personalmente ritengo, ad esempio, assurdo che un preparatore atletico possa atteggiarsi ad allenatore: l’insegnamento di un gesto tecnico non può essere equiparato a quello di un esercizio fisico. Toglierei inoltre la regola degli under da schierare obbligatoriamente nelle serie minori. Quest’anno la LND impone di giocare con classe 2000 in campo: in molti dei casi, questi atleti non sono pronti da un punto di vista tecnico e fisico ad affrontare adeguatamente la performance, vengono esposti a brutte figure ed i loro errori possono condizionare l’andamento in campionato delle squadre in cui militano”.
Come valuti finora il campionato della Salernitana?
“Stagione contraddistinta da alti e bassi. Dissi che l’eventuale possibilità di lottare per la serie A sarebbe passata attraverso il mantenimento in organico di Coda: evidentemente la società vuole mantenere la categoria. Ritengo che la rosa sia da medio-alta classifica: potrà al massimo centrare i playoff, da settima-ottava in classifica. Una piazza calorosa come Salerno che meriterebbe di lottare stabilmente per le prime posizioni”.
Cosa ci dici, invece, sul Savoia?
“Siamo un bel gruppo e stiamo facendo bene. Sembra ci siano tutti i presupposti per riuscire a centrare l’obiettivo che ci siamo prefissati ai nastri di partenza”.
Il momento di appendere gli scarpini al chiodo è ormai arrivato o ti vedremo ancora sui campi da gioco anche nella prossima annata sportiva?
“Ogni anno dico che è l’ultimo, poi la grande passione per questo sport fa sì che stia ancora giocando. Non so ancora cosa farò a fine stagione: lasciamo un po’ di suspense…”
Fonte foto: sportcasertano.it