IL “DROP OUT” FIGLIO DELL’AGONISMO ESASPERATO? L’INTERVISTA AD ILARIO APICELLA
L’80% dei bambini italiani in età pre-puberale pratica almeno uno sport, ma verso i 14 anni, proprio durante la fase di sviluppo più delicata e in cui l’attività fisica sarebbe un vero toccasana per la crescita del ragazzo a livello fisico, psicologico e sociale, questa percentuale si riduce drasticamente. Questo fenomeno, denominato “drop out” ha attirato l’attenzione di numerosi psicologi, terapeuti, istruttori che hanno cercato di individuare le differenti motivazioni.
Le cause sono diverse e questa fase di rigetto e allontanamento dagli sport non sempre si può dare colpa al ragazzo, ma spesso a fattori esterni.
Per avere un’idea di cosa succede, nella nostra provincia abbiamo intervistato Ilario Apicella, Istruttore di calcio, da quest’anno con la Scuola Calcio Cariti: “Per capire il perché un ragazzo improvvisamente lascia un’attività sportiva che ha praticato per anni, è necessario comprendere quali sono le molle iniziali che gli hanno fatto decidere di intraprenderla. E tra queste su tutte il divertimento, la gioia di giocare, di fare parte di un gruppo, conoscere nuovi amici. Se i giovani non trovano soddisfatti questi loro bisogni primari, lasciano”.
Ma tra i tanti motivi qual’è quello che prevale?
“La causa principale di tutto ciò e’ “la vittoria ad ogni costo”. Molte volte, tuttavia, nell’attività motoria proposta dagli adulti non c’è gioco, gioia e allegria. Al loro posto pressioni eccessive, agonismo esasperato, allenamenti noiosi. Secondo la mia esperienza ci sono più allenatori preoccupati a vincere piuttosto che interessati alla prestazione dei propri atleti. Chiedere o pretendere da un bambino, fin dalla sua prima esperienza sportiva, la vittoria ad ogni costo, magari promettendo anche ricompense, può influenzare negativamente il processo di sviluppo delle sue motivazioni a continuare a praticare lo sport. Se a questo si aggiunge un inadeguato supporto emotivo nei momenti delicati degli insuccessi e delle sconfitte, si creano le premesse per cui il bambino giocherà non tanto per se stesso, ma per le richieste, per lui a volte incomprensibili, del nostro mondo fatto a misura di adulto”.
Per cui cosa consiglia e come bisogna comportarsi?
“L’importante è curare la prestazione non il risultato. La componente agonistica è innata: a nessuno piace perdere. Ha per altro anche una valenza positiva per la crescita psichica ed emotiva degli adolescenti, ma va assolutamente rifiutata come filosofia e unico obiettivo, come un qualcosa di indispensabile per essere accettati e avere successo. E’ fondamentale, secondo il mio punto di vista, insegnare ai ragazzi a gestire la sconfitta e a utilizzare gli errori, credendo in loro, apprezzando i loro sforzi e sollecitandoli continuamente a essere volonterosi e tenaci. Il giovane non ha fallito se, pur perdendo, ha dato il massimo, se alla fine della gara esce dal campo con la maglia bagnata elogiando anche l’avversario se è stato più bravo, e non incolpare l’arbitro di una scelta sbagliata o l’allenatore per aver fatto giocare uno al posto dell’altro. Ogni atleta desidera essere rinforzato per la qualità della sua prestazione più che per la vittoria. Se un giovane commette un errore non lo si deve punire, ma fargli capire dove ha sbagliato e cosa dovrebbe fare per correggersi, utilizzando un linguaggio sempre positivo. Quando l’atleta è a conoscenza che il suo allenatore vuole il massimo dal suo impegno e per questo è rinforzato, non avrà più paura di provare e riprovare, accrescendo così la propria autostima. Al contrario, se il giovane si aspetta di essere premiato solo in base al risultato, pensando alle possibili conseguenze negative delle sue iniziative, avrà il timore di fallire, mostrando ansia e insicurezza”.
La realtà dove ora allena, si distingue in modo assoluto, una scuola calcio che è nata per aggregare i bambini di un quartiere nuovo che poteva essere destinato a diventate dormitorio, invece, anche con lo sport state facendo un grosso lavoro di aggregazione e cultura sportiva, qual’è la strategia?.
“Per prima cosa non esasperare l’attività agonistica in età precoce, da non confondersi con un avviamento precoce all’attività motoria e al gioco, è la strada sbagliata, quella che con maggiori probabilità porta al “drop out”. Per evitare che ciò accada nella realtà, la società sportiva “Cariti Calcio” di cui sono il responsabile tecnico, affronta il problema alla radice. All’inizio facciamo giocare il bambino ad un calcio ludico e non praticare lo stesso, da subito, a livello agonistico. Gli allenamenti sono divertenti, interessanti, didatticamente validi, con obiettivi legati all’età e al livello di maturazione di ciascuno.
Il mio modo di fare mi porta a non essere un leader autoritario, ma autorevole, nel contempo non troppo permissivo, ma empatico e stimolatore verso gli atleti. Ho istaurato con i ragazzi un rapporto di dialogo sincero e creato un clima positivo di gruppo, in cui si respira aria di collaborazione, fiducia, sostegno e stima reciproca. Infine ai genitori, che sono sicuramente indispensabili nell’organizzazione pratica delle giornata dei propri figli, ho chiesto di interferire il meno possibile, evitando di esercitare pressioni e di riversare su di loro eccessive aspettative.
Sono stato accontentato alla grande, ed è per questo che la nostra realtà che come scopo primario ha la socializzazione dell’atleta, non ci sono problemi di “drop out”, e si cresce sempre di più mettendo in primo piano i sani valori che lo sport insegna.
Mi posso ritenere fortunato perché sia nella mia esperienza decennale presso la Polisportiva Nikè e sia in questo primo anno ai Cariti ho sempre avuto dai genitori risposte positive al mio modo di fare”.
Per chi volesse raccontare la propria esperienza potete contattarci a: redazione@ilbellodellosport.it