Franco Impagliazzo: una vita da bandiera
“Questa emergenza ha sconvolto, oltre che tutte le nostre vite, anche il mondo del calcio. Se tutti i vincoli che conosciamo rimarranno tali, prevedo che difficilmente Lega Pro e serie D potranno ripartire. Gli atleti che giocano in queste categorie difficilmente possono avere a disposizione più campi per allenarsi e spogliatoi adatti a gestire l’emergenza: insomma la vedo dura”. Si è così espresso ai nostri microfoni, riguardo alla gestione dell’emergenza Covid-19, l’ex bandiera dell’Ischia Franco Impagliazzo. Non poteva non mancare una domanda riguardante il suo passato da calciatore: “Sono nato nella piazza principale del comune, e anche mio padre giocava nell’Ischia. Ho tifato sin da ragazzino per la squadra della mia città e ho giocato per diciannove anni consecutivi tra serie C e serie D con questa maglia totalizzando, fra campionato e coppe, circa 550 presenze. Non mi è mai interessato trasferirmi, e nonostante avessi proposte da Cagliari, Atalanta e Brescia sono sempre rimasto qui. Ho fatto 133 gol in carriera da difensore centrale, numeri che ora come ora sono difficili da raggiungere in ogni categoria, per 7 anni sono stato il capocannoniere dell’Ischia. Dubito che nel calcio moderno questi numeri potranno essere eguagliati in futuro. I calciatori giovani, oltre a legarsi sempre meno alle squadre, vivono i rapporti con i propri club di appartenenza in maniera sempre più fugace”.
Sulla situazione attuale del calcio italiano: “Il livello dei campionati di calcio rispetto a quando giocavo io si è abbassato moltissimo. La nostra nazionale purtroppo non si è qualificata per i mondiali, questa disfatta ci ha aperto gli occhi su come in passato i calciatori italiani fossero nettamente più bravi di ora. Per quanto riguarda la serie C il discorso è il medesimo, di qualità se ne vede veramente poca perché tutte le squadre sono organizzate prevalentemente per difendersi e non riescono a proporre azioni offensive con costanza”.
Sul suo passato da allenatore: “Ho allenato per 22 anni e non mi sono mai focalizzato esclusivamente sulle caratteristiche dei miei avversari. Il mio credo è quello di valorizzare i miei atleti fornendo loro delle idee di gioco in fase di possesso palla. Fino a due anni fa ho allenato in eccellenza, e nei più giovani notavo pochissimo interesse nel giocare e pochissima voglia di allenarsi. La colpa di questa situazione è anche da attribuirsi alle regole sugli under, che obbligando i giovani a giocare sempre non li stimolano a sufficienza nel guadagnarsi il posto da titolare. Per esempio, alcuni ragazzi erano più interessati al telefonino, mentre altri non hanno gestito l’oppressione dei genitori. Molti giovani calciatori non riescono a svincolarsi dalle pressioni provenienti da famiglie convinte di avere in casa un fenomeno su cui guadagnare dei soldi”.