GLI ATLETI ITALIANI SI PREPARANO PER I GIOCHI MONDIALI SPECIAL OLYMPICS CHE SI DISPUTERANNO AD ABU DHABI
“I Giochi Mondiali Special Olympics ad Abu Dhabi sono la scelta ideale, rivoluzionaria per il nostro Movimento e per la regione del Medio Oriente” – ha detto Timothy Shriver, Presidente di Special Olympics – “Non esiste posto migliore di Abu Dhabi per invitare il mondo ad unirsi a celebrare lo sport, a celebrare le persone di tutte le culture e le abilità, per dimostrare al mondo che le divisioni possono essere cancellate. Siamo entusiasti all’idea di essere i primi promotori di un evento mondiale multidisciplinare di questa grandezza organizzato nell’area Medio Orientale del Mondo“.
A marzo del 2019, infatti, si terranno ad Abu Dhabi (Emirati Arabi Uniti) i Giochi Mondiali Special Olympics dove parteciperanno centinaia di delegazioni ed oltre 7000 atleti con la Delegazione Azzurra composta da 115 Atleti.
E’ già stato definito l’evento umanitario e sportivo del mondo del 2019.
Special Olympics vive del coinvolgimento delle persone e fa della connessione di valori e dell’empatia che genera in chi vive i suoi eventi, il suo punto di forza.
L’evento è caratterizzato da sette giorni di gare in 24 discipline sportive. Ci sono sport sul campo: calcio, badminton, pallacanestro, beach volley, bocce, pallamano, tennis tavolo, tennis e pallavolo. Ci sono gare di atletica, ciclismo, kayak, nuoto in acque libere, pattinaggio a rotelle, vela, nuoto e triathlon. E poi ancora equitazione, judo, ginnastica artistica e ritmica. A completare l’elenco ci sono il bowling, il golf e il powerlifting.
Gli Atleti Special Olympics nel Mondo sono oltre 4.000.000 e ben 16.000 sono in Italia raggruppati in centinaia di Team.
Da oggi, noi del Bello dello Sport cercheremo di raccontarvi le storie di questi atleti. La prima è quella di Giacomo Bacelle (nella foto di Blikippe ginnastica – Padova)
).
Giacomo è nato piccolo piccolo e con importanti problemi polmonari ma, le sorprese, non erano finite lì.
La Sindrome di Down – racconta la mamma- è un parolone, una definizione che racchiude un mondo complesso, che mette spavento, di cui si sente sempre parlare e che, personalmente, mi era capitato anche di studiare sui libri, grazie al mio percorso universitario. Sono una fisioterapista.
Quando è nato Giacomo, e l’ho visto per la prima volta, mi sono subito resa conto che qualcosa non era andata per il verso giusto, mi sono praticamente fatta la diagnosi da sola. Quella ufficiale è arrivata solo un paio di settimane più tardi, con esami alla mano. Certamente la disperazione è stata la prima reazione ed è stata tanta, ma le condizioni critiche che stavamo vivendo in quel momento ci hanno dato altre priorità, abbiamo trascorso un mese intero nel reparto di patologia neonatale.
Giacomo è sempre stato un bambino solare e affettuoso, sensibile e bellissimo fino a quando, all’età di 8 anni, il trauma familiare che ci ha colpito lo ha segnato irrimediabilmente rendendolo pieno di paure, ansie e atteggiamenti di chiusura verso il mondo intorno, con la continua necessità di avere delle conferme, soprattutto da me che sono sua madre. Una mamma rimasta da sola a crescere il proprio figlio tra mille difficoltà.
Fin da piccolo Giacomo è sempre stato stimolato in tutti gli aspetti, non ultimo quello motorio che gli ha permesso di raggiungere precocemente, rispetto agli altri bambini con la Sindrome di Down, tutte le tappe relative al movimento di base. Un aiuto fondamentale è senz’altro arrivato da tutte quelle ore passate in palestra insieme a me, insegnante, e al fratello, atleta di ginnastica artistica.
Giacomo pratica calcio e nuoto, sa sciare dall’età di sei anni ma la sua prima passione si è riversata sulla ginnastica. E’ il suo mondo, in cui riesce ormai a muovevi autonomamente tra un attrezzo e un tappetone, tra i vari gruppi di ginnasti e istruttori diventando anche un po’ la mascotte di tutti.