I segreti del mental coach nello sport: intervista ad Iwona Popczak
E’ un pensiero ormai diffuso che, per vincere nello sport, non è sufficiente solo avere talento, ma è necessario anche che mente e corpo sia coordinati ed allineati con tecnica e preparazione fisica. E quindi anche la mente, al pari del corpo, deve essere allenata. Un gesto tecnico, una rovesciata di un calciatore con palla all’incrocio dei pali o una schiacciata perfetta di un pallavolista non sono solo frutto di un piede o un braccio talentuosi. Ecco, allora, che anche nello sport, come in altri contesti (lavorativi o vita privata), si sta diffondendo la figura del ‘mental coach’, ossia colui che allena e supporta la mente.
Iwona Popczak, italiana di origine polacca, personal e sport coach, ci aiuta a scoprire i segreti di questa professione: “In Italia è ancora abbastanza nuova come professione, mentre all’estero è diffusa da tanti anni”, esordisce Iwona ai nostri microfoni, “in Italia è conosciuta però c’è un po’ di diffidenza. Lavoro da tanti anni soprattutto come ‘life’ ma anche come ‘sport’. Ho iniziato come ‘life’ lavorando con persone che avevano problemi di lavoro, problemi nella vita personale. Mi sono lanciata nello sport coinvolta da un amico, manager della squadra di calcio a 5 Bubi di Merano. Non è facile svolgere questa professione, perché ancora poco conosciuta e in quanto tale fa un po’ paura, perché gli allenatori hanno paura che il mental coach toglie loro spazio e controllo del gruppo o della squadra. Questo non è vero perché il mental coach lavora in collaborazione con l’allenatore, diventa la sua ombra. L’intervento del mental coach serve a sostenere con efficacia un atleta o una squadra a migliorare le prestazioni in particolari fasi della carriera o di una stagione sportiva”.
Qual è stato il tuo percorso formativo e quale deve essere il ruolo del mental coach? “Ho un accreditamento internazionale Associate Certified Coach (ACC) presso International Coach Federation. Ho avuto la fortuna d’imparare dai migliori professionisti in Italia e in Polonia nell’ambito del coaching e della crescita personale. Nella mia vita personale e professionale qualsiasi cosa faccio ci metto passione e cuore. Non conosco modo diverso di svolgere il lavoro che mi appassiona e mi dà veramente tantissima soddisfazione. Come mental coach mi sento una guida, faccio da supporto a dare il massimo e a sfruttare le loro risorse mentali a supporto della preparazione tecnica e fisica dell’atleta”.
A tuo avviso quanto è importante l’aspetto mentale nel mondo dello sport ? “Se una persona non è pronta da un punto di vista mentale difficilmente arriverà ad ottenere un successo. Mi è capitato di avere degli atleti che durante gli allenamenti andavano forte, poi durante le gare ufficiali, tornei, finali non riuscivano ad affrontare le situazioni. E’ evidente che la differenza sta tutta nella testa, la concentrazione, la gestione dello stress sono determinanti per il successo. E in queste situazioni subentra il mental coach”.
Qual è il tuo approccio nei confronti di un atleta che chiede il tuo supporto ? “Durante l’incontro, la sessione di lavoro così come viene chiamata, innanzitutto cerco di stabilire una relazione di fiducia con l’atleta. La persona che ho di fronte deve volere raggiungere un obiettivo. Il primo passo è stabilire l’obiettivo dell’incontro, poi dialogando con l’atleta si cerca di indirizzarlo verso il vero obiettivo da raggiungere. Magari all’inizio l’obiettivo può essere la gestione dello stress, poi parlando e discutendo, attraverso delle domande aperte, l’atleta deve pensare, deve riflettere e cercare dentro di sé le risposte e quindi l’atleta si rende conto che il problema non è lo stress ma qualche problema della sua vita privata. E quindi l’obiettivo cambia, ma sempre con la partecipazione e la consapevolezza dell’atleta. Una volta stabilito l’obiettivo e capito il perché, la domanda è come ci arrivo a raggiungere l’obiettivo, qual ‘è il percorso da fare entro quale lasso di tempo”.
Attualmente in quali discipline viene richiesto il tuo intervento come mental coach ? “Oggi seguo squadre o atleti che praticano calcio, golf, tennis, footgolf. Per quanto riguarda la Nazionale Amputati, ho avuto piacere di parlare al livello di amicizia, ascoltare le loro storie, di come si sono rialzati, della loro vita prima e dopo, e adesso sto organizzando un ritiro post mondiali a Merano in Alto Adige. Sono loro che devono insegnarci a capire cosa sono gli obiettivi, quali sono le motivazioni, perché sono dei ragazzi eccezionali”.
Al di là dell’aspetto professionale che ti lega agli atleti, dopo le sessioni di lavoro insieme, li segui, li tieni sotto controllo in qualche modo? “Mi fa piacere seguirli, vedere che arrivano nelle posizioni più alte. Mi fa piacere anche vedere che vanno avanti nella loro professione, che hanno superato le difficoltà. Ogni tanto ci sentiamo, qualcuno mi racconta quello che fa, dove è arrivato. Con alcuni si instaura un rapporto di amicizia e in qualche modo, anche con i social network, ci teniamo in contatto”.
Esiste un albo, un ordine professionale di mental coach ? “Allo stato attuale questa attività non è riconosciuta come un lavoro. Esistono alcuni gruppi, delle associazioni che non sono riconosciuti. Io faccio parte dell’International Coach Federation, che raggruppa i coach che hanno fatto un certo percorso di studi a livello europeo. Vista l’importanza dell’aspetto mentale, chissà un domani ci potrà essere un vero e proprio riconoscimento ufficiale per disciplinare questa professione”.
Foto inviata dall’intervistata