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Il cattivo esempio dei genitori nelle scuole calcio, il rispetto per chi perde, pillole di storia: che lezione di Riccardo Cucchi!

Chi si aspettava una semplice conferenza stampa di presentazione di un libro è rimasto deluso. Del resto solo chi non conosce la professionalità, lo stile, la cultura e l’eleganza di Riccardo Cucchi poteva attendersi un qualcosa di banale e scontato. Ieri sera, presso la libreria Mondadori di Salerno, è andata in scena una manifestazione bellissima, rivolta non solo agli amanti dello sport, ma anche e soprattutto a quelle tante persone presenti in sala e che hanno apprezzato l’intervento del miglior radiocronista italiano, uno di quelli che ha celato sino in fondo la sua fede calcistica “perchè ci insegnano che bisogna rispettare tutti i nostri ascoltatori ricordando che un giornalista ha il dovere di dare notizie e raccontare i fatti con senso di responsabilità”. Ne è uscito fuori un mix esplosivo: aneddoti, storia dell’Italia, racconti del calcio che fu, lezione di giornalismo, riferimenti alla politica, ai giovani, alle scuole calcio, ai guadagni spropositati dei calciatori senza dimenticare l’importanza della lingua italiana e dell’uso delle parole. Un’emozione fortissima, due ore che riconciliano con i valori dello sport e della vita. Tutto riassumibile nelle dichiarazioni che vi proponiamo: “La mia avventura è durata davvero tanto e ne sono fiero. 35 anni di emozioni trasmesse, fondamentalmente il primo ad essere emozionato ero io ogni volta che entravo in uno stadio. E’ questo uno dei segreti. Bisogna essere autentici quando si racconta qualcosa che lo spettatore non sta vedendo. Sono laziale, l’ho detto nel giorno in cui ho appeso il microfono al chiodo rispondendo dopo lustri alla domanda “tormentone” che mi ha accompagnato. Ricordo che quando ero bambino andai in curva Nord per assistere alla partita decisiva per lo scudetto biancoceleste: non si vedeva nulla e ascoltavo la radiocronaca sognando, un giorno, di poter ripercorrere le orme del mio collega e urlare “campioni d’Italia” commentando una sfida della mia squadra del cuore. Mi è successo nel 2000, quando il Perugia vinse contro la Juventus. Ho sempre cercato, però, di essere professionale e di seguire gli insegnamenti dei miei maestri. Molti dicevano una cosa: ogni giornalista deve crearsi uno zaino da portarsi sulle spalle pieno di parole. Nella vita è un messaggio che può tornare molto utile. Perchè la padronanza del linguaggio e la conoscenza di tante parole è sinonimo di libertà”

Dopo aver risposto con eleganza e intelligenza alla domanda su chi fosse il giocatore più scarso della A (“Non esiste il peggiore: tutti danno il meglio e anche chi non rende va rispettato, applaudito e incoraggiato“), Cucchi ha proseguito con la sua lezione di vita: “Il libro non è una autobiografia. E’ un romanzo d’amore che racconta il mio sentimento nei confronti della radio complice il calcio. E’ una storia a puntate, proprio come lo sport che ci dà emozioni ogni domenica grazie ai protagonisti che corrono sul rettangolo verde. Ci sono tante storie vere, provo a raccontare la gioia nel commentare uno spettacolo. Le parole hanno un gran peso: le ascolti per qualche secondo, poi vanno via. La mia scommessa è emozionare con lo scritto come accadeva con le parole. Ho scelto di fare questo mestiere che amo tantissimo. E’ un lavoro che va al primo posto, che non conosce orari e che spesso spinge a mettere involontariamente in secondo piano la famiglia.  Non vogliamo firmarci per narcisismo, è un’assunzione di responsabilità. La più bella definizione l’ha data Enzo Biagi. Il giornalista è il testimone della realtà. La lealtà è al primo posto, non bisogna mai ingannare chi legge, vede e ascolta e si basa su ciò che gli raccontiamo. Il nemico del radiocronista è silenzio, al contrario del telecronista. In una sola occasione mi sono fermato stupito, meravigliato e ammirato per un gol straordinario segnato sotto i miei occhi. Sampdoria-Roma, Francesco Totti realizzò una rete bellissima con un tiro a volo da fondo campo. Qualche tifoso romanista ha capito che il mio silenzio derivava dal rispetto totale per il gesto tecnico di un campione”.

Cucchi si rivolge con rispetto ai “colleghi” del giornale Paper Boy, ragazzi diversamente abili che hanno scelto di diventare giornalisti e che sono stati chiamati ad uno ad uno quasi come se si stesse leggendo una formazione allo stadio. A loro ha insegnato come svolgere al meglio la professione rispondendo alle domande con umiltà: “La fede nascosta? Non può esistere la passione per il calcio senza una passione per una singola squadra. Sono laziale da quando ero bambino, però grazie soprattutto all’insegnamento di grandi maestri del passato come Provenzali, Bortoluzzi e Moretti e grazie al fatto che ho lavorato nella RAI che formava i giovani giornalisti professionalmente ed eticamente ho capito tanti trucchi del mestiere. Ci hanno insegnato subito che dovendo parlare ad un pubblico compreso tra Bolzano e Caltanissetta molto variegato bisognava essere imparziali. Il rispetto dei tifosi italiani è stato il mantra, non è stato difficile perché ho coltivato questo valore anche da ascoltatore. Io tifoso della Lazio mi sarei arrabbiato se qualche radiocronista avesse espresso negatività verso la mia squadra. Si può raccontare il calcio rispettando tutti, chi vince e chi perde. Ho annunciato molti vantaggi, ma pensavo anche a quelli che mi insultavano e maledicevano perché avevo dato una brutta notizia. Vi faccio un esempio. In passato, durante una partita della Fiorentina, il direttore di gara incappò in una giornata nerissima. Il radiocronista decise di chiudere con classe rispettando chi aveva svolto il suo lavoro con qualche difficoltà dicendo semplicemente “60 mila testimoni hanno assistito alla performance dell’arbitro Lobello”. Tempi in cui la ricchezza di contenuti sopperiva alla tonalità voce. Dico a voi che il segreto è questo: sporcarsi le mani, rubare pezzi di mestiere al maestro, consumarsi le scarpe per la strada a caccia di notizie partendo anche dalla periferia e non dal centro. Il privilegio della radio è non avere immagini. La radio le crea con l’uso delle parole e attraverso una relazione stretta con il pubblico. Il vero lavoro lo fanno gli ascoltatori, non chi racconta. Accendete l’immaginazione”.

Infine una riflessione sul calcio di oggi: “Sono dispiaciuto che il calcio italiano venga bistrattato. A me sembra che l’avvento in Italia di un campione come Ronaldo abbia dato ulteriore forza al nostro movimento, per nulla inferiore a quello degli altri paesi laddove, Inghilterra a parte, in vetta sembra già tutto deciso. Bisognerebbe ripartire dai giovani e dai vivai per creare un sistema ancora più forte. Ho la passione per le partite dei bambini, spesso nel tempo libero vado a vederle e noto con gioia che affrontano le gare con il sorriso e con la curiosità di chi vuole giocare, divertirsi ed apprendere senza l’ossessione del risultato. A volte sono i genitori che andrebbero allontanati dagli spalti. A livelli professionistici abbiamo fatto grossi passi in avanti sul piano della civiltà: ricordo che qualche decennio fa i tifosi della Cavese lasciarono Campobasso perseguitati da colpi di pistola. Oggi è diverso, ma se non si riparte dai più giovani, dai tifosi del futuro e da chi investe tempo e risorse per la passione non si va da nessuna parte. Anche la stampa ha un ruolo importante, purtroppo qualche collega agisce in un modo che a me non piace a tutti dovremmo fare un salto di maturità per il bene del calcio italiano”.         

 

 

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