Il messaggio di Giorgio Enzo (ex Lecce):”Il trapianto è vita, non abbiate paura”
“Ho giocato a calcio fino all’età di 33 anni, ho smesso di giocare a causa del deterioramento della cartilagine di un ginocchio. Era sempre gonfio e non mi consentiva di allenarmi regolarmente”. E’ Giorgio Enzo, ex giocatore tra le altre di Lecce, Atalanta, Torino, Ascoli e Taranto a raccontarsi alla nostra redazione. “Verso fine carriera ho iniziato ad avere dei problemi al fegato ma non mi sono fermato. Con il tempo, però la situazione è peggiorata e a quel punto i medici, presso cui ero in cura, mi hanno consigliato l’ospedale di Pisa per una valutazione. Qui mi hanno detto che, prima o poi, avrei dovuto subire un trapianto di fegato”. In quel momento gli crolla il mondo addosso anche perché, durante la carriera calcistica, è stato sottoposto a costanti controlli medici che non hanno mai evidenziato alcun problema di salute. Entra nella lista d’attesa dopo controlli approfonditi. Arriva il giorno del trapianto, 31 ottobre 2012: “Ricordo che quel giorno, di ritorno da lavoro, ricevo la telefonata del chirurgo che mi informa che c’era un fegato compatibile per me e mi invita a recarmi a Pisa entro un paio di ore. Arrivato in ospedale, il personale medico e infermieristico mi accolgono con la solita gentilezza, mi preparano per l’intervento durato 15 ore. Dopo 16 giorni, trascorsi tra rianimazione e degenza, faccio rientro a casa. Ero molto preoccupato perché temevo che mi sarebbe cambiata la vita. Io sono una persona attiva, vivo in campagna, curo la terra, gli ulivi, faccio tutto da solo e pensavo che non avrei più condotto una vita normale”. Dopo aver superato diverse difficoltà, Giorgio Enzo riprende lentamente a condurre una vita normale e con il tempo riprende addirittura le scarpette che aveva appeso al chiodo e scende nuovamente in campo: “Tre mesi dopo il trapianto, ricevo un messaggio dalla Nazionale di calcio trapiantati. Succede mentre ero all’Ospedale di Pisa. Un ragazzo trapiantato, che ora non c’è più, girava per le stanze per darci morale, faceva un po’ da animatore. Mi disse dell’esistenza di questa nazionale e dopo sei mesi dal trapianto faccio l’esordio come giocatore”. Con la nazionale trapiantati ha giocato fino ad un anno fa: “Ho deciso di smettere per colpa del solito ginocchio all’alba dei 56 anni. Ora fungo da allenatore, il nostro compito è andare in giro a sensibilizzare, facciamo vedere che nonostante abbiamo subito un trapianto possiamo vivere una vita normale. Cerchiamo di essere da modelli per quelli che devono ancora affrontare questo cammino”. Con Enzo riavvolgiamo il nastro della sua carriera da calciatore e la mente vola agli anni ottanta: “Ero un mediano con le caratteristiche di Ringhio Gattuso, mi definisco un centrocampista ignorante. Era un calcio diverso, in cui ti facevano marcare i numeri 10. Ho avuto la fortuna di poter marcare gente del calibro di Maradona, Platini, Rumenigge, Van Basten. Ho tanta nostalgia di quel calcio, non è solo un modo di dire che il calcio di una volta era più bello. Era più naturale, più vero. Oggi noto che conta più l’immagine, il nostro era un calcio più genuino senza ombra di dubbio”. Ricorda volentieri tutte le squadre in cui ha militato, ma ha un pensiero particolare per una piazza del sud: “Sono stato bene in tutte le piazze, ma Lecce mi è rimasta nel cuore. Lì ho giocato sei anni, 4 di Serie b e due di Serie A. Ho vinto due campionati di B. Erano gli anni in cui in squadra non avevamo stranieri, poi nel 1985 arrivano Barbas e Pasculli”.
Oggi Giorgio Enzo conduce una vita serena, nella tranquillità della campagna toscana, e ci assicura che non gli manca il calcio di oggi: “Faccio il nonno, curo l’orto, il giardino, gli ulivi, ho moglie, due figli, due nipoti, il cane. Faccio quello che mi piace. Non ho mai ambito a fare l’allenatore, anche se mio figlio me l’ha sempre rimproverato. Per fare l’allenatore bisogna essere portati, ci vuole un’applicazione continua, un allenatore deve combattere con tante teste diverse, con caratteri diversi, la società, i giornalisti e poi avrei trascurato gli affetti. Per me la famiglia viene prima del calcio”.
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