Home / ANEDDOTI  / Ivan Ilic: la guerra, la fuga e la pallamano

Ivan Ilic: la guerra, la fuga e la pallamano

Ivan Ilic, serbo, di  Belgrado dove ha vissuto la sua infanzia convivendo con la guerra e vedendo esplodere, a pochi passi da casa sua i missili tomawok.
“Ho cominciato a giocare a pallamano quando avevo sei anni”, così ci racconta il portiere che oggi difende la porta di Cassano.
“Da ragazzo ho dei gran bei ricordi di questo sport. Le prime cose belle? Gli scudetti nelle giovanili e poi, crescendo, anche in altre categorie”.
Arriva così la convocazione in Nazionale Serba: “Tutto questo lo devo alla squadra del Bask che a livello giovanile era la bestia nera di tutte le squadre”.
Ma la guerra, le divergenze etniche e il forte nazionalismo, secondo Ivan non è molto sentito nella pallamano: “Io ho giocato con tutti, per me sono tutti amici in campo e non ho mai vissuto nessuna forma di razzismo. Per quanto mi riguarda, nello sport, accetto il sacrificio e il sudore delle persone e questo ci rende uguali”.
“Quando scoppia la guerra nel 1998 io giocavo nell’A2 serba a soli 14 anni. Ero una giovane promessa e mi guadagnavo i miei 5 minuti quando capitava. Da dire che a quei tempi la nostra A2 era tanta roba”.
Proprio mentre si divertiva e la spensieratezza dell’età gli permetteva di crescere anche sportivamente tutto, o quasi, si deve piegare alle logiche belliche: “Cercammo di continuare a vivere una certa normalità. Fu messo in piedi la Lega contro la guerra che ci permetteva di giocare evitando, nello stesso tempo, di viaggiare”.

In che modo?

“Organizzando un campionato che permetteva, ad esempio, tutte le squadre di Belgrado di giocare per cercare di tenerci in forma. Ad esempio, la mia squadra, giocò contro il Partizan, una delle formazioni più forti e che puntava, ogni anno, a vincere lo scudetto”.
Il momento però non permetteva tutta questa serenità. E poi lui, ormai aveva compiuto 16 anni e rischiava di essere chiamato alle armi.
Bisognava inventarsi qualcosa per sfuggire a questo pericolo.

La fuga


“Mia mamma era già in Italia. Non si poteva pensare di fare un viaggio diretto da Belgrado a Milano. Non era permesso. Allora siamo andati a Budapest in Ungheria con nonna. Da qui abbiamo fatto richiesta di visto in Italia e siamo arrivati, in auto, con degli zii che avevano cittadinanza italiana e che erano venuti a prenderci”.
“Non si poteva aspettare molto”, continua Ivan. “Come dicevo prima avevo ormai 16 anni ed ero a limite per poter uscire dal paese. Infatti, tutti i maschi vicino alla maggiore età dovevano restare perchè dovevano essere pronti per essere arruolati”.

Milano e la pallamano

“Sono passato da 2 allenamenti al giorno, in quanto frequentavo un liceo sportivo dove mi permettevano di allenarsi mattina e sera, ad allenarmi due volte a settimana con il Ferrarin a Milano. Per me fu uno shock”.
“Per fortuna le mie qualità sportive vennero subito notate e, piano piano, ho conosciuto persone che mi hanno fatto entrare nel giro”.

“Massimo Petazzi

mi vede giocare e mi chiamò al Cassano. Ma io ero extra comunitario e ancora un ragazzino per cui era praticamente impossibile togliere un posto ad uno straniero in A2″.
Va a Seregno dove vince il campionato di B salendo in A2.
“In B avevo spazio, in A2 no! Praticamente con la promozione ero tagliato fuori. Mi alleno, ma non posso giocare. Ho perso un sacco di anni per queste ragioni”.

10 anni di residenza

“Chiesi la cittadinanza e così ripresi a giocare. Cassano è diventata la mia casa sportiva”.
Dopo aver superato due grossi infortuni (rottura di entrambi i tendini di Achille – ndr) riesce a rimettersi in pista e nel 2017 arriva la convocazione in Nazionale. Il suo primo raduno era già un veterano, aveva 34 anni ma, come ci racconta Ivan: “Ero felice come un bambino”.

alfonso.pierro@libero.it

“A volte un vincitore è semplicemente un sognatore che non ha mai mollato” 
(Nelson Mandela).