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La scalata di Daniele Nardi al Nanga Parbat: Mummery Post 12, the journal

Continua la scalata di Daniele Nardi al Nanga Parbat. Il suo racconto di ieri: “Un rombo sordo mi fa pensare a grossi pezzi di ghiaccio che scendono dalla seraccata sommitale. Cerco di localizzare il suono e non mi sbaglio: il canale alla sinistra della nostra tenda viene sommerso da piccoli e medi pezzi di ghiaccio, più una certa massa di neve.

Ma non è quello che mi preoccupa e mi fa sentire agitato. Siamo a Campo 2, 5100m al centro el grande ghiacciaio. Il campo è protetto da una guglia glaciale che impedisce alle seraccate sommitali di cadervi sopra. Queste tuttavia hanno una via di fuga proprio sul lato alla nostra sinistra. Qualche giorno fa, Karim e Rahmat, hanno voluto che cambiassi traiettoria per salire a Campo 3 e che rinunciassi alla mia cresta centrale per risalire proprio quel canale alla sinistra della nostra tenda. Per esperienza mi allargavo di più al centro, prendevo la linea

di cresta più sicura da eventuali valanghe. Tuttavia giorni fa ci siamo accorti che le nostre corde fisse passando per la cresta non sarebbero bastate visto che il tracciato è più lungo ed abbiamo deciso di accorciarlo passando per quel tratto di canale pericoloso. Più facile, meno corde da usare, meno scalata però… più pericoloso. Ed eccola li una mini valanga che copre le nostre tracce.

Ma come vi dicevo non era questa deviazione che mi preoccupava. Ieri quando siamo arrivati al campo 2 abbiamo dovuto recuperare la tenda sotto “una tonnellata di neve”. Alcuni pali si sono spaccati ed una parte del telo è strappato. La tenda non ha più la sua forma, si schiaccia leggermente sul fianco a causa dei pali rotti e di quelli piegati.

E’stato impossibile sul momento ripararla e così ci siamo dovuti accontentare di dormire nella sagoma schiacciata della tenda. Non stiamo comodi chiusi in questo piccolo fagotto di teli e pali con tutta la condensa ghiacciata che ci cade addosso, ma siamo qui e ci sentiamo fortunati di aver potuto recuperare la tenda ed il materiale che c’era all’interno.

Quello che mi preoccupa di più è se ritroveremo campo 3 oppure no. So che è un posto maledetto per posizionare il campo, l’ho sempre saputo. Domani sarà una giornata molto dura, sia per salire al campo 3 e sia per ritrovare il materiale lasciato in deposito al campo. Nei giorni passati abbiamo fatto una gran fatica per attrezzarlo e per portare su il materiale. Attrezzature necessarie per prepararci alla scalata dello sperone. Se non dovessimo ritrovare quelle attrezzature potremmo non avere i duplicati per continuare la salita. C’è un altro aspetto da non sottovalutare. Quando abbiamo trasportato questi materiali in alto eravamo in 4, io, Tom, Karim e Rahmat, ora siamo rimasti solo io e Tom e se dovessimo ritrasportare su in alto tutto quel materiale ci servirebbero giorni e giorni di bel tempo che non potremmo usare per scalare lo sperone Mummery. Il campo 3 è di base, fondamentale per scalare i 1200m di sperone. Il danno più grande sarebbe questo, non solo aver perso migliaia di euro di materiale.

Deglutisco con una certa fatica. Sento la saliva raspare contro la gola come farebbe una pala meccanica mentre raschia la terra sopra uno strato di cemento. Lo stridore mi fa scendere un groppo allo stomaco. Poi rido, forse è la fame, abbiamo mangiato un liofilizzato ed un pugno di mandorle e noci.

Chiudo meglio la cerniera del sacco facendo bene attenzione a non chiuderla del tutto e di lasciare uno spiraglio per respirare l’aria al di fuori del sacco, più fresca, pulita, energia pura per riposare bene. Siamo a 5100m del campo 2 e qui la quota comincia a farsi sentire, la mancanza di ossigeno non ci aiuta a riposare, se dovessimo respirare l’aria scarsa ma calda del sacco a pelo ci sveglieremo più stanchi di prima. Tuttavia l’aria gelida dell’interno della tenda può infiammare le vie respiratorie e quindi mi trovo costretto a dormire un po, poi svegliarmi e respirare da dentro il sacco per recuperare il calore perduto.

Poi svengo addormentato per un oretta e mi risveglio mentre il termometro nella tenda segna 18 gradi sotto-zero.

Accendo il fornello, verso l’acqua fredda della bottiglia dentro il pentolino e comincio a scaldarla. Ne bevo un po’ prima che ebollisca e poi metto del ghiaccio nel pentolino. Dopo alcuni minuti l’acqua va in ebollizione e la verso nella bottiglia che chiudo ed infilo avidamente nel sacco a pelo. Il calore rilasciato riattiva la circolazione nelle dita dei piedi. Nel frattempo prendo la bottiglia di Tom che si è svegliato e brama la stessa operazione. Lui ne ha due di bottiglie con su i loghi dei suoi sponsor personali Camp, Montane e Cassin mentre sulla mia ci sono Ciesse Outdoor, Conte.it, Utopia 2000. I loghi sbiadiscono giorno dopo giorno mentre saliamo sempre più in alto così come i giorni dall’inizio di questa spedizione aumentano un poco alla volta.

L’operazione di scaldare l’acqua è un operazione che normalmente fa Tom mentre questa volta mi trovo a farla io. Tom mette una bottiglietta ai piedi e l’altra la stringe a se mentre si richiude nel suo buco di piuma a tela.

Spengo la lampada frontale mentre sposto la mia unica grande bottiglia dentro la giacca in piuma. Chiudo la zip e spengo la frontale. Torna il buio”.

mesposito_it@yahoo.it

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