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La storia di nonno Ciccio, dai campi di guerra ai campi di calcio (1a parte)

Francesco Malgieri da Sant’Agata di Puglia, un paese a circa 50 km da Foggia, classe 1925, non è un tifoso qualsiasi. Ormai è conosciuto negli ambienti sportivi come “Nonno Ciccio” e segue il Foggia da oltre 80 anni su tutti i campi d’Italia. La redazione de Il Bello dello Sport lo ha contattato telefonicamente per sentire dalla sua voce la sua storia d’amore verso i colori rossoneri, ma anche racconti di guerra. Attualmente vive in campagna, anche se ha una casa in città “dove ho fatto studiare i miei due figli. Preferisco vivere in campagna, dove mi sento uno spirito libero”. 

E’ una storia che appassiona, che spazia dalle trasferte sui campi polverosi della vecchia serie C alle battaglie di Bengasi e Tobruk, in Libia, o alla cattura ad El Alamein da parte dei neozelandesi, fino al rimpatrio in Italia alla fine della grande guerra.

La prima volta allo stadio.La prima partita del Foggia l’ho vista nel 1937, ma la seconda guerra mondiale ha interrotto i campionati ed io, essendo militare, ero impegnato in guerra. Poi ho ripreso a seguire il Foggia dal dopoguerra, alla fine degli anni quaranta. All’inizio andavo allo stadio con la bicicletta, poi comprai una motoretta. Seguo il Foggia dappertutto, mi organizzo da solo, mi metto in macchina e vado. In questi giorni ho portato la mia auto dal meccanico per un controllo, perchè domenica andrò a Reggio Calabria”.

L’accoglienza dei tifosi di casa quando va in trasferta.Mi vogliono tanto bene dappertutto, anche quelle tifoserie ostili al Foggia. Tutti mi salutano e mi vengono incontro. Ad esempio l’anno scorso ad Agrigento, contro l’Akragas: che grande festa che mi hanno fatto! A Catanzaro i capi ultras sono venuti a prendermi e mi hanno fatto accomodare in tribuna, dove mi hanno fatto posizionare anche i miei striscioni”.

I suoi striscioni. Allo stadio porta sempre con sè i suoi striscioni, un modo per farsi riconoscere e per diffondere il suo credo sportivo. “Uno striscione dice “Pace tra ultras”, lo porto sempre fuori casa, mentre in casa non lo espongo sempre. E l’altro “W Foggia w Nonno Ciccio”. Da poco ne ho fatto un altro che dice “Nonno Ciccio saluta tutto lo stadio”.

Aneddoti. Ha tanti aneddoti da raccontare, e lo fa sempre con immenso trasporto “L’anno scorso la trasferta a Castellamamare di Stabia era vietata ai foggiani. La società per premiarmi mi fece fare la trasferta con il pullman della squadra e andai in tribuna. Allo stadio i tifosi di casa mi hanno riconosciuto. Non avevo con me gli striscioni, ma solo un berrettino e un borsello con i colori del Foggia. All’uscita, dietro la tribuna, gli ultras di casa hanno chiesto ai poliziotti di avvicinarsi a me per salutarmi. Il questore mi disse che c’era un gruppo di tifosi della Juve Stabia che volevano salutarmi. C’erano delle transenne e loro mi diedero la mano. Io dissi “Voi mi date le mani, ma io vi voglio anche abbracciare!” E così ci siamo abbracciati affettuosamente. Il loro capo, una persona molto simpatica, mi disse “Nonno Ciccio, uomini come te non ne nasceranno più”.

Salerno e il racconto della guerra. Gli chiediamo, per curiosità, se qualche volta è stato allo stadio di Salerno e si apre un capitolo importante, difficile della sua vita. E’ un fiume in piena, ha voglia di raccontare e lo fa con tanto entusiasmo e trasporto emotivo.

Si, sono stato all’Arechi! A Salerno ho visto anche le partite nel 1942, quando ero soldato. Ricordo la collina del Masso della Signora. Sono stato al Vestuti a vedere le partite, ricordo un grande giocatore della Salernitana, Margiotta, segnava tutte le domeniche. Sono stato a Salerno per un mese, mi portarono i fascisti. Sul Masso della Signora eravamo accampati con le tende e partivamo per il Castello d’Arechi per arrivare a Cava dei Tirreni, tutti i giorni, con zaini sulle spalle, andata e ritorno. All’epoca eravamo alleati con i tedeschi che anche loro si accamparono con noi. Quando sono partito per soldato, io ero studente, stavo a Salerno al Convitto Giovanni Pascoli a Via Vernieri. Mi ricordo tutto, il cervello mi funziona molto bene! A Pasqua sono tornato al mio paese e lì i fascisti mi hanno preso in piazza e mi hanno portato in guerra. All’epoca requisivano i giovani per portarli a combattere sul fronte. Anche se in Comune risultavo ancora minorenne, perchè all’epoca non si registravano in tempo le nascite, mi presero e mi obbligarono a fare il soldato. Mi presero insieme ad altri cinque o sei amici. Ricordo che avevo addosso ancora il vestito da convittore della scuola, una divisa azzurra e un berrettino con le iniziali G.P. (Giovanni Pascoli). Il giorno stesso in cui mi presero, erano verso le 11, ci portarono a Foggia alla Caserma Miani. La sera stessa partimmo e mi promisero che il vestito da convittore sarebbe stato restituito ai miei genitori che avevano fatto tanti sacrifici per farmi quel vestito e invece non fu così. Partimmo per Salerno (…)”.

Fonte foto Internet

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