L’ex calciatore di Serie B Sergio Mari racconta: “Ecco chi era l’allenatore italiano che inventò il Tiki-Taka”
In passato vi abbiamo raccontato di Corrado Viciani, allenatore italiano che, nonostante ai suoi tempi proponesse un calcio alternativo e all’avanguardia (clicca qui per leggere l’articolo), non ha mai goduto di molta attenzione da parte dei cronisti dell’epoca. Negli ultimi anni il calcio spagnolo con il suo “Tiki-Taka” è salito alla ribalta, ma pochi sanno che l’inventore di questo stile di gioco in realtà, fu proprio Corrado Viciani. Il trainer originario di Bengasi, e che in passato ha allenato, tra le altre, Ternana, Avellino, Cavese, Palermo, Foggia, era definito infatti “il maestro del gioco corto”.
Abbiamo incontrato Sergio Mari, attore, scrittore (clicca qui per leggere il nostro articolo sul suo ultimo libro “Racconti”) ma soprattutto ex calciatore della Cavese di mister Viciani, che ci ha raccontato qualche aneddoto su colui che negli anni ’60 salì alla ribalta per la sua innovativa filosofia di gioco. A Sergio Mari abbiamo chiesto innanzitutto chi era Corrado Vinciani. “Era l’allenatore con la ciocca bianca nei capelli, quello che negli anni Settanta fece volare la Ternana in serie A, il profeta del gioco corto – ci ha raccontato Mari – Un signore d’altri tempi che sbucciava la mela con forchetta e coltello ed era elegante in ogni occasione. Pensa che da noi esigeva i pantaloni lunghi a pranzo anche d’estate, con quaranta gradi all’ombra”.
Quando Mari appena sedicenne approdò alla Cavese, il mister instaurò subito con lui un rapporto particolare: “Veniva a svegliarmi presto al mattino. Amava parlare con me che ero il più piccolo, mi aveva scoperto un pomeriggio in ritiro a leggere “Lotta continua”. Una mattina alle sette entrò nella mia stanza, lamentandosi che avevano chiuso i manicomi e che lui con Basaglia non era proprio d’accordo. Si sedette sul letto e sbraitò «È un comunista!», poi sfilò Il Manifesto dai libri che avevo sul comodino, cominciò a sbattermelo sulle gambe, e aggiunse «I tuoi amici rossi continuano a far casini!». Io non gli risposi, lui si arrese e se ne andò”.
Corrado Viciani era quel che si suol dire un uomo d’altri tempi, a tal proposito Sergio Mari ci racconta un aneddoto: “Una volta al campo di Pregiato, durante la partitina del giovedì entrai in contrasto duro con Giovanni Botteghi, titolare appena operato di menisco, e lui, il mister, come se mi avesse visto con una pistola in mano o con un coltello tra i denti urlò dalla panchina: «Assassino!» Poi, entrò in campo e mi mandò negli spogliatoi. Sugli spalti c’erano più di mille tifosi e dai loro sguardi capii di avere tutti contro: Botteghe era uno dei giocatori più forti. Rientrato negli spogliatoi, da solo sotto la doccia, mi misi a piangere. Quella sera pensai di essere un giocatore finito. Il sabato successivo i nostri giovani Allievi avevano il derby fuori casa con la Salernitana. L’allenatore delle giovanili, Adolfo Milite, fece di tutto per avermi in squadra, io preferivo essere convocato con la prima squadra e non la presi bene quando mi ritrovai nell’elenco dei convocati per Salerno. La partita fu seguita dalla prima squadra, compreso il mister. Nel primo tempo fui un mulinello a tutto campo, toccando cento palloni al minuto. Al rientro negli spogliatoi, seduto sulla panca in un elegante abito da principe di Galles, c’era lui. Aspettò che fossimo rientrati e, quando ci vide seduti mi chiese scusa, davanti a tutti i compagni. Il secondo tempo di quella partita non lo ricordo; della sua pacca sulle spalle, invece, ne sento ancora il calore”.
I metodi di preparazione atletica del trainer nato nella Libia italiana, erano notoriamente molto duri. I concetti base sui quali si basava la sua filosofia di calcio erano sostanzialmente due, lavoro e sudore: “Con Viciani sono riuscito a percorrere tremila e seicento metri nel test di Cooper, mille e duecento metri in tre minuti e a svenire più volte per gli sforzi a cui mi sottoponeva. Ho visto Luca Gabriellini perdere i sensi, Paolo Chirco e Gaetano Longo strapparsi i quadricipiti e Vittorio Belotti insieme a Paolo Braca bestemmiare in silenzio. Il suo gioco corto aveva fatto scuola in Italia e non era vero che disdegnava i lanci lunghi. «Rivera e D’Amico sono gli unici che non li sbagliano» diceva, «e io questi due non li ho in squadra.» In allenamento lo prendevamo spesso in giro. All’improvviso Piero Burla, portando un pallone in mezzo al campo, urlava: «Gioco corto, gioco corto!» e ci ammucchiavamo tutti intorno al pallone eseguendo passaggi di pochi centimetri. Lui, il mister, rideva”.
Un sergente di ferro vecchia scuola: “Per punizione una volta ci portò in ritiro a Villa San Giovanni in Calabria. La punizione non fu tanto quella di mandarci in ritiro in un luogo che di bello aveva poco, quanto il fatto che per raggiungere quel paesino dello stretto ci costrinse ad avviarci un’intera settimana prima: di lunedì trentuno dicembre. Nei quattrocento chilometri di autostrada non incontrammo nemmeno una macchina. La Calabria è bellissima, ma quel giorno la odiammo. Gli auguri per salutare quel 1979 ce li scambiammo nella hall. Sette minuti dopo la mezzanotte eravamo già tutti a letto. Al mattino, mentre si era tutti al bar per la colazione, Burla per attenuare la tristezza di quel capodanno urlò: «Gioco corto, gioco corto!». Lui, il mister, si mise a ridere”.
In conclusione un aneddoto particolare legato alla sua gara d’esordio con la maglia della Cavese: “Quella domenica per raggiungere il campo m’infilai nell’Alfa Romeo di Bucciarelli, la nostra terza punta. All’ingresso calciatori il custode, vedendomi in macchina, mi fece cenno di scendere perché non poteva lasciare entrare i ragazzi senza biglietto. Non c’era modo di convincerlo che fossi uno della prima squadra e, in due minuti, imparai tutta la lingua toscana, parolacce comprese. Bucciarelli non smetteva di urlare nel suo dialetto: «È un giohatore, è un giohatore, maremma maiala!». Entrai al settantesimo e il mister, non appena presi posizione, cominciò a gridare: «Palla al bambino, palla al bambino!» per farmi subito immergere nel clima partita. Io nel clima ci ero entrato subito e senza aver bisogno della palla; la paura aiuta tanto in questi casi. 1 a 1 fu il risultato finale; un pareggio, ma io avevo comunque già vinto”.
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