QUANDO IL CALCIO TI FA PERDERE LA TESTA E… LA VITA: LA STORIA DI DOMENICO SCARPATI
Domenico Scarpati da piccolo era indicato come l’Andrea Pirlo del calcio italiano e già da bambino aveva numeri da grande campione. Nulla da eccepire, ambidestro, grande visione del gioco, fisico perfetto, gran tiro dalla distanza. Insomma, per dirla alla sud americana un numero 5 di grande valore come lo era stato “El Triche” (clicca sul nome per leggere la storia).
Fin da piccolo il Milan lo corteggiava tanto che gli promette un abbonamento in tribuna e tanti altri piccoli benefit per convincerlo. Aveva appena 8 anni. Era un tifoso del Milan e come si poteva dire di no alla squadra del cuore.
Un prospetto incredibile aveva da poco indossato la maglia del Milan. La sua strada era tracciata: la serie A.
Poi la vita, le invide, le gelosie, le delusioni, le amicizie sbagliate, insomma un mix di elementi che hanno distrutto, fatto a pezzetti il sogno e non solo quello.
Stiamo parlando di Domenico Scarpati, che ai tempi era un ragazzetto felice che giocava e si divertiva col pallone: “Fin da piccolo giocavo nel cortile di casa. Ero piccolo quando sia l’Inter sia il Milan mi contattarono chiedendomi di poter giocare con loro. Ho scelto il Milan perchè ero tifoso della squadra rossonera”.
Quale cosa più bella se non quella di poter indossare la maglia della tua squadra del cuore?
Poi un litigio del padre, per cose che non erano inerenti al calcio, con una persona influente del Milan portano il piccolo Domenico ad essere svincolato “Avevo risposto in modo professionale ad una richiesta che riguardava il mio lavoro. Non potevo fare miracoli”. E’ il papà Pietro che interviene e ci racconta l’episodio che, in un certo senso, ha poi stravolto la vita di Domenico.
“Al Milan mi sono trovato bene. Un solo appunto quando l’allenatore, Alberto Gelosa, mi aveva consigliato, in una partita di finale di un torneo, di non pensare a fare i miei soliti giochetti e di non fare cose di classe. Con me in squadra avevo Caracciolo, l’attaccante che poi ha fatto la storia del Brescia”.
Il primo colpo al cuore di un bambino che ha voglia di divertirsi giocando a calcio. Ma l’amore per questo sport lo porta a crederci ancora: “La mia annata migliore è stata all’Alcione con Fulvio Pera. Con quella squadra abbiamo vinto tutte le partite di Campionato e ad un Torneo abbiamo battuto anche il Real Madrid per 3 a 2”.
Il giovane Domenico sembra avere ripreso la strada giusta ed infatti va a Rimini a fare uno stage: “L’organizzava Salvatore Bagni e in quell’occasione ho conosciuto Bobo Vieri, Sebastiano Rossi, Locatelli dell’Udinese. Io dovevo andare alla Pro Patria ma poi cambiò la società e non se ne fece niente”.
A questo punto entra di scena la Solbiatese. Lui viene aggregato alla Juniores col l’intento di farlo esordire al più presto in prima squadra. Ma qualcosa non funziona. Allora passa in prova al San Colombano dove l’allenatore Sollier cerca di recuperarlo. Arriva il giorno della visita medica ma il ragazzo si rifiuta. Era spaventato. Declina l’invito e smette di giocare ed entra in depressione. Qualcosa stava accadendo nella sua mente. Qualcosa lo ha spinto al gran rifiuto.
Col tempo si è capito che la causa scatenante di questo stato d’animo è stata un’amicizia sbagliata che gli ha fatto conoscere il mondo della cannabis alla quale lui aveva un’allergia.
Da questo momento in poi il buio. Si chiude in se stesso e non riesce più a giocare a calcio. Il mondo dei sogni si è rivelato un incubo.
Oggi, dopo terapie e diverse difficoltà, Domenico ha ripreso a giocare con una squadra “Il Girasole” vincendo il campionato Nazionale. Il Girasole è una formazione che accoglie persone che hanno problemi psichiatrici e di depressione cercando di farli uscire dal tunnel della solitudine.
Eppure, chiude papà Pietro: “Non ho mai forzato mio figlio a diventare un campione. Volevo che studiasse e da parte della famiglia non gli abbiamo dato nessuna pressione. Oggi sono felice che si sta riprendendo, lentamente, grazie sempre al calcio che lo porta a socializzare e a rendersi, piano piano, autonomo. Ma di casi simili ne posso raccontare un altro. Era un ragazzino del sud molto bravo e una società del Nord lo tesserò facendo credere che il padre lavorasse a Milano già da tempo. Era l’escamotage utilizzato per aggirare il regolamento. Gli avevano trovato un lavoro di portinariato. Anche in questo caso il piccolo “Maradona”, predestinato del calcio, non è riuscito ad andare avanti perchè certe pressioni non fanno bene alla mente di un bambino che deve, ad una certa età, pensare esclusivamente a divertirsi giocando a calcio”.