“Rombo di tuono cilentano”: la storia di un calciatore di altri tempi
Un libro a tratti romantico e nostalgico, la storia di un uomo, di un antidivo, “di un eroe della domenica”.
Rombo di tuono cilentano, scritto dal giornalista Alfonso Pierro (Saggese Editori), uscito nei giorni scorsi, è il racconto della vita di Antonio Esposito, uomo semplice e umile, che grazie al suo talento e alla passione per il calcio, ha percorso la sua vita alla costante ricerca della coronazione del sogno di diventare un calciatore professionista.
Una storia quella di un padre, di un marito, di un uomo che amava la sua terra, Marina di Camerota, raccontata attraverso il suo diario di ricordi. Una vita non certo facile quella di Antonio, rimasto orfano da bambino, dopo la morte precoce della mamma Giuseppina. Il papà Raffaele, emigrato in Venezuela, che non voleva che il figlio perdesse tempo dietro ad un pallone, decise ben presto di risposarsi con la sorella della moglie, per dare la giusta guida ad Antonio e ai suoi due fratelli più piccoli.
Un’infanzia segnata da questo triste evento. L’unica cosa che gli procurava sollievo e felicità era correre e calciare quel pallone, “una sfera costruita con mezzi di fortuna, di solito con degli stracci legati tra di loro”. Il campo di calcio, la storica piazzetta del paese, è il luogo dove Antonio trascorre le ore più spensierate della sua fanciullezza, dove cresce e inizia a mettere in mostra il suo estro e quel piede sinistro vellulato che non ha avuto la fortuna di poter essere paragonato, nonostante ci fossero i presupposti, “al sinistro magico e potente di Gigi Riva”.
Dopo due anni di seminario a Policastro Bussentino, decide di terminare le scuole medie a Camerota, di cui sente la mancanza degli amici e delle partitelle nella piazzetta del paese. Dopo il primo anno di ginnasio ai Salesiani di Caserta, Antonio fa ritorno per l’estate a Camerota, dove si tiene un importante torneo di calcio stracittadino, in cui nessuno vuole sfigurare. Quasi per caso, segno del destino, in occasione di una partita incrocia gli occhi di una ragazza, Graziella, che sarebbe diventata la donna della sua vita e dalla quale poi ebbe due figli.
Grazie ad un amico, Antonio viene tesserato dall’Albanella, seconda categoria. E’ la sua prima stagione da calciatore, ormai gli anni del calcio da strada sono alle spalle. Per lui un’ottima annata che gli vale l’invito a partecipare ad torneo estivo ad Agropoli. Dove arriva la svolta: viene notato da un emissario della Salernitana chiamato a costruire la formazione Berretti.
Così Antonio passa in maglia granata per un milione di lire, all’epoca non certo cifre di poco conto. Inizia a concretizzarsi il suo sogno. Ma il contratto nasconde un inganno: la Salernitana avrebbe dovuto pagare all’Albanella un milione di lire per ogni presenza di Antonio in prima squadra. Il ragazzo, all’oscuro di tutto, vive con trepidazione l’attesa dell’esordio sul terreno di gioco del vecchio stadio Vestuti. Con i granata vince il torneo Berretti, che per anni resterà l’unico trofeo esposto nella bacheca della Salernitana. Ma “il magico sinistro” di Antonio non riuscì mai a calcare il glorioso terreno del Vestuti, il sogno di indossare la maglia numero 11 rimase tale. Una grande delusione, un’umiliazione.
Dopo aver girovagato in squadre di categorie inferiori, all’età di 24 anni, si trasferisce a Torino in cerca di lavoro. Anche qui riesce a mettere in mostra le sue doti calcistiche, ma il richiamo della sua terra e soprattutto dell’amore lo riporta a Camerota. Mette su famiglia ma non abbandona il calcio. Viene tesserato dallo Scario, prima categoria, che gli offre anche un lavoro.
Purtroppo la malattia non gli permette di completare il suo diario di vita. Ma dalle tante testimonianze raccolte si apprende che Antonio Esposito ha creato una scuola calcio, un progetto per soddisfare la voglia di giocare a calcio dei bambini in strutture moderne. Ciò che Rombo di tuono cilentano ha tramandato ai propri figli, ben descritti dall’autore nel capitolo finale del manuale, sono solidi valori sportivi e morali.
Antonio ha smesso di giocare troppo presto perché, intrapresa la carriera da allenatore, reputò giusto dedicarsi con tutte le forze a una sola attività. Il suo ultimo sogno, la scuola calcio, sta avendo un successo importante. A testimoniarlo, tra le righe dell’ultimo capitolo, è il sindaco di Camerota: “Quando cominciò a smettere di fare l’allenatore pensava alle nuove generazioni di Marina. Voleva organizzare quello che era mancato prima a lui, far sì che si potessero evitare gli errori che lui aveva commesso e che non gli avevano permesso di poter giocare in categorie più consone al suo talento“.
“La sua forte passione per il calcio”, chiosa l’autore Pierro nelle pagine conclusive del volume, “fa pensare che Antonio non abbia mai smesso di giocare e che, anche da lassù, stia giocando in un cortile, con un pallone fatto di stracci, nel Paradiso”.
In collaborazione con Giuseppe Mautone