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UISP vs FIT: scontro per la libertà dello sport

Si è spostata dai campi da tennis, ai circoli, ai tribunali ed ora nelle aule parlamentari italiane l’annosa disputa tra la UISP, ente di promozione sportiva con oltre un milione di iscritti in tutto il paese (trentamila nella UISP-tennis), e la FIT, federazione italiana tennis.

Tutto nasce dalla pretesa monopolistica della FIT nella gestione del tennis in Italia, che da circa cinque anni provvede a inglobare altri enti e associazioni nazionali che operano nel settore (PTR su tutte) al fine di poterle ingoiare e poi catabolizzare a piacimento.

La UISP invece, forte della propria identità che l’ha contraddistinta fin dalla nascita ma anche dei propri numeri cui prima si accennava, non ha voluto snaturarsi in cambio del piatto di lenticchie offerto da Binaghi, così dall’iniziale dialogo serrato, anche aspro, si è infine giunti allo scontro muro contro muro.

Bisogna precisare che gli enti di promozione sportiva (come la UISP) e le federazioni (come la FIT ma anche la federazione pallavolo, basket, calcio e tutte le altre) godono esattamente degli stessi diritti e doveri, essendo sia gli enti di promozione che le federazioni posizionate giuridicamente sullo stesso gradino, subito sotto a quello del CONI, comitato che sovrintende in qualità di organo supremo.

Non si tratta di ruoli sdoppiati, ma ben distinti tra loro, occupandosi i primi esclusivamente di promuovere lo sport a partire dalla base, anche nei luoghi del disagio sociale come le carceri o con soggetti portatori di handicap; le seconde invece occupandosi soprattutto della parte agonistica, ossia impegnando le proprie risorse per formare i campioni di ogni disciplina sportiva che poi rappresentano l’Italia nelle competizioni internazionali.

Due ruoli, quindi, ben specificati.

Ebbene, dicevamo che lo scontro si è spostato sui banchi del Parlamento italiano: un gruppo di venti senatori di vario colore politico (PD, Lega Nord, NCD, gruppo Misto) ha depositato una interrogazione, primo firmatario Vaccari (PD), per chiedere al governo di riferire sui rapporti tra le due organizzazioni (UISP-FIT) in guerra per questioni di tariffe , doppie affiliazioni, che proverebbero la volontà da parte della FIT di monopolizzare il tennis in Italia. «Ingerenze nell’attività di un altro Ente di promozione sportiva, ma anche sanzioni ai propri tesserati che eventualmente partecipavano alle sue attività, così come alle società sportive e polisportive che mettevano a disposizione i propri impianti. Questi alcuni dei comportamenti che la Federazione italiana Tennis starebbe mettendo in atto per ottenere di fatto l’esclusività del tesseramento. Un comportamento che rischia di mettere in crisi non solo l’Ente di promozione sportiva che si è visto costretto a ricorrere al Garante della concorrenza per tutelare la propria posizione, ma anche decine di associazioni sportive, che anche sul territorio di molte regioni sono il vero motore dello sport di base».

La doppia affiliazione viene pagata dai circoli che non danno l’esclusività alla FIT, arrivando a pagare 900 euro invece di 350, ed anche per i tecnici vale lo stesso discorso: 730 il doppio tesserino, 220 gli istruttori FIT. Con l’interrogazione proposta si chiede la presenza del CONI nell’aula parlamentare per capire se ci sono gli estremi di una commissione con il compito di accertare queste vessazioni, questione come detto già sollevata davanti all’anti trust. «Consideriamo la situazione grave – ha proseguito Vaccari – viste le finalità pubblicistiche della FIT e i relativi contributi pubblici che riceve, ma anche le possibili conseguenze economiche di un eventuale contenzioso risarcitorio, così come la possibile rilevanza ai fini di un commissariamento per accertate gravi irregolarità della gestione o di gravi violazioni dell’ordinamento sportivo da parte degli organi federali».

L’assunto sul quale la FIT basa la propria presunzione parte da un regolamento interno, confermato dalla giustizia sportiva interna, in cui la FIT ritiene di poter gestire nell’ambito dell’ordinamento sportivo «[…] in forma esclusiva […] la disciplina del tennis […]»: un’assurdità giuridica sottolineata dal presidente UISP-tennis Erasmo Palma il quale giustamente afferma che «[…] questa presunta esclusività non è prevista dallo stesso statuto del CONI[…]», e stigmatizzata dal presidente UISP nazionale Manco, che citando la famosa frase del marchese del Grillo «Io so’ io, e voi non siete un cazzo» esprime con lucidità il comportamento del presidente Binaghi e degli organi federali. «Un atteggiamento arrogante – conclude Manco – di chi dimentica che lo sport è di tutti».

La volontà monopolistica sembra essere nata quando la FIT si è sentita “minacciata” dal grande sviluppo avuto negli ultimi dieci anni dalla UISP-tennis, e dai nomi importanti, ex campioni e coach di caratura internazionale che, entrati in contrasto inevitabile con la federtennis tacciata di avere comportamenti padronali, si sono avvicinati al mondo UISP appassionandosi e diventando promotori di un modo nuovo di fare sport e associazione.

A giudizio di chi scrive val forse la pena ricordare due aspetti per chiarire meglio non tanto le differenti visioni del vivere tennistico, quanto piuttosto la sostanziale gestione fallimentare della FIT alla base degli attuali problemi del tennis in Italia. Anagrafe alla mano, infatti, negli ultimi quarant’anni risulta che dal 1976 al 2016 la FIT ha avuto solo due presidenti effettivi: vent’anni con Paolo Galgani e quindici con l’attuale Angelo Binaghi, presidente dal 2001, frammezzati da un paio d’anni di commissariamento con Pescante (ex presidente CONI) ed un’altra brevissima esperienza con il presidente Ricci Bitti. Difficile non entrare in contrasto con una gestione di questo tipo, tutt’altro che democratica se tra i principi cardine della democrazia assumiamo la rotazione delle cariche, come insegnano i manuali di scienze politiche.

L’altro aspetto chiarificatore del sostanziale fallimento della politica FIT riguarda proprio la “performance“, ossia l’analisi dei risultati ottenuti sui campi di gioco: ebbene, anche in questo caso quaranta sono gli anni dai quali un giocatore italiano è assente da una finale di torneo Slam, essendo stato Adriano Panatta l’ultimo a raggiungere (e per fortuna anche a vincere) il torneo di Parigi nell’ormai lontano 1976.

Non va meglio in campo femminile. Pur avendo raggiunto risultati molto lusinghieri sia in ambito Slam con le vittorie di Francesca Schiavone e Flavia Pennetta, che in Fed Cup (coppa Davis femminile), è un segreto di pulcinella che tutte le nostre migliori giocatrici sono di formazione spagnola, che cioè vanno all’estero ad allenarsi e pagano profumatamente di tasca propria i coach, fatta eccezione di Roberta Vinci, rimasta in Sicilia, ma anche lei in sostanziale autonomia.

Senza voler andare oltreoceano, è inoltre facile osservare come molte nazioni europee sfornino ogni anno giocatori che puntualmente entrano al top delle classifiche mondiali: mentre scrivo, ai primi venti posti dell’ATP ranking troviamo cinque francesi, tre spagnoli, due serbi, due svizzeri e poi via via tennisti porta bandiera della Repubblica Ceca, dell’Austria, del Belgio. Il migliore degli italiani, Fabio Fognini, è al 29.mo posto.

Dunque il problema nella formazione agonistica dei tennisti esiste, macroscopico, e la FIT finge da anni di non vederlo. Le ragioni di questo scempio italico sono da ascriversi senza dubbio alla politica della Federazione Italiana Tennis: succhia risorse alla base per mantenere vertici spreconi e inconcludenti, che impediscono sia la fondamentale formazione dei vivai dai cui attingere che il supporto altrettanto importante nella delicatissima fase di passaggio da juniores a professionista.

In ambito amatoriale, poi, giocatori di terza e quarta categoria, ma anche molti di seconda, affrontano solo spese in cambio di una classifica nazionale che ha poco a che fare anche con la gloria, ma soltanto con la passione del gioco, passione che la FIT abilmente sfrutta introducendo anno dopo anno tasse e aumenti.

Tralascio ogni commento sul canale televisivo Supertennis, dal costo di oltre cinque milioni di euro l’anno, che invece di aiutare concretamente i circoli promuove il tennis dal piccolo schermo in forma passiva, senza nessun campione italiano che faccia da traino a tutto il settore.

Insomma un quadro desolante quello offerto dalla Federtennis, e la UISP ha fatto benissimo a trascinare nelle aule di Tribunale e in quelle parlamentari la questione, essendo la UISP rimasta, come afferma il presidente Erasmo Palma, l’ultimo presidio di libertà dello sport.

adrianopignataro@libero.it